Non il vero Concilio è ancora dominante ma quello dei media‏

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Non il Concilio dei Padri, della fede, il vero Concilio, ma quello dei media è ancora dominante provocando nella Chiesa la spaccatura tra progressisti e tradizionalisti e creando “tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie: seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata…Mi sembra che, 50 dopo il Concilio, vediamo come questo Concilio virtuale si rompa, si perda, e appare il vero Concilio con tutta la sua forza spirituale…Vince il Signore!” 
“C’era il Concilio dei Padri – il vero Concilio -, ma c’era anche il concilio dei media. Era quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio tramite questi, tramite i media. Quindi il Concilio immediatamente efficiente arrivato al popolo, è stato quello dei media, non quello dei Padri. E mentre il Concilio dei Padri si realizzava all’interno della fede, era un Concilio della fede che cerca l’intellectusche cerca di comprendersi e cerca di comprendere i segni di Dio in quel momento, che cerca di rispondere alla sfida di Dio in quel momento e di trovare nella Parola di Dio la parola per oggi e domani, mentre tutto il
Concilio – come ho detto bene – si muoveva all’interno della fede, come fides quaerens intellectum, il Concilio dei giornalisti non si è realizzato, naturalmente, all’interno della fede, ma all’interno delle categorie dei media di oggi, cioè fuori dalla fede, con un’ermeneutica diversa. Era un’ermeneutica politica: per i media, il Concilio era una lotta politica, una lotta di potere tra diverse correnti nella Chiesa. Era ovvio che i media prenessero posizione per quella parte che a loro appariva più confacente con il loro mondo. C’erano quelli che cercavano la decentralizzazione della Chiesa, il potere per i Vescovi e poi, tramite la “Parola di Dio”, il potere del popolo, dei  laici. C’era questa triplice questione: il potere del Papa, poi trasferito al potere dei Vescovi e al potere di tutti, sovranità popolare. Naturalmente, per loro era questa la parte da approvare, da promulgare, da favorire. E così anche per la liturgia: non interessava la liturgia come atti di fede, ma come una cosa dove si fanno cose comprensibili, una cosa di attività della comunità, una cosa profana. E sappiamo che c’era una tendenza, che si fondava anche storicamente, a dire: la sacralità è una cosa pagana, eventualmente anche dell’Antico Testamento. Nel Nuovo vale solo che Cristo è morto fuori: cioè fuori dalle porte, cioè nel mondo profano. Sacralità quindi da terminare, profanità anche del culto: il culto non è culto, ma un atto dell’insieme, della partecipazione comune, e così anche partecipazione come attività. Queste traduzioni, banalizzazioni dell’idea del Concilio, sono state virulente nella prassi dell’applicazione della Riforma liturgia; esse erano nate in una visione del Concilio al di fuori della sua propria chiave, della fede. E così, anche nella questione della Scrittura: la Scrittura è un libro storico, da trattare storicamente e nient’altro, e così via.
Sappiamo come questo Concilio dei media fosse accessibile a tutti. Quindi, questo era quello dominante, più efficiente, ed ha creato tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie: seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata…e il vero Concilio ha avuto difficoltà a concretizzarsi, a realizzarsi; il Concilio virtuale era più forte del Concilio reale. Ma la forza reale del Concilio era presente e, man mano, si realizza sempre più e diventa la vera forza che poi è anche la vera riforma, vero rinnovamento della Chiesa. Mi sembra che, 50 anni dopo il Concilio, vediamo come questo Concilio virtuale si rompa, si perda, e appare il vero Concilio con tutta la sua forza spirituale. Ed è nostro compito, proprio in questo Anno della fede, cominciando da questo Anno della fede,lavorare perché il vero Concilio, con la sua forza dello Spirito santo, si realizzi e sia realmente rinnovata la Chiesa, Speriamo che il Signore ci aiuti. Io, ritirato con la mia preghiera, sarò sempre con voi, e insieme andiamo avanti con il Signore, nella certezza: Vince il Signore!” (Benedetto XVI, Incontro con i Parroci e il Clero della Diocesi di Roma, 14 febbraio 2013). 
All’inizio, otto anni fa, del suo ministero petrino Benedetto XVI nel Discorso ai Membri della Curia  e della Prelatura Romana, 22 dicembre 2005, si chiedeva: “Perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo difficile? Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o – come diremmo oggi – dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione. I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti. Da una parte esiste un’interpretazione che vorrei chiamare “ermeneutica della discontinuità e della rottura”; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall’altra parte c’è “l’ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto – Chiesa, che il signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino. L’ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare”.
È stato un giudizio magisteriale rifiutato da molti intellettuali progressisti come pure da ultra – conservatori. E tuttavia Benedetto XVI lascia un’eredità precisa, che non è pessimista e che fa intravvedere nel Concilio un possibile recupero di unità per tutti, pur con esperienze diverse. L’ermeneutica della riforma nella continuità si sta affermando tra tanti sacerdoti e fedeli. Così “50 anni dopo “il Concilio vero appare nella sua forza”. “Il nostro compito nell’Anno della fede è che il vero Concilio Vaticano II si realizzi”. Un compito che Papa Ratzinger affida a tutta la Chiesa, ma indirizzato soprattutto alla guida del suo successore. “Mi ritiro adesso in preghiera, sono sempre vicino a voi e sono sicuro che anche voi sarete vicino a me, anche se per il mondo rimango nascosto”. Mi permetto di suggerire di don Enrico Finotti Vaticano II 50 anni dopodi Fede&Cultura.

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