Il Vescovo oggi deve essere valoroso‏


L’agnosticismo, oggi largamente imperante, è estremamente intollerante e richiede dai pastori non di colpire con violenza nell’aggressività, ma di lasciarsi colpire e nel tenere testa ai criteri delle opinioni dominanti con il coraggio di restare fermamente con la verità: il timore di Dio libera dal timore degli uomini. Rende liberi!

“Come i pastori che, quali primi ospiti presso il Bimbo neonato giacente nella mangiatoia, personificano i poveri d’Israele e, in genere, le anime umili che interiromente vivono molto vicino a Gesù, così gli uomini provenienti dall’Oriente personificano il mondo dei popoli, la Chiesa dei gentili – gli uomini che attraverso tutti i secoli si incamminano verso il Bambino di Betlemme, onorano in Lui il
Figlio di Dio e si prostrano davanti a Lui.La Chiesa chiama questa festa “Epifania” – l’apparizione, la comparsa del Divino. Se guardiamo il fatto che, fin da quell’inizio, uomini di ogni provenienza, di tutti i Continenti, di tutte le diverse culture e tutti i diversi modi di pensiero e di vita sono stati e sono in cammino verso Cristo, possiamo dire veramente che questo pellegrinaggio e questo incontro con Dio nella figura del Bambino è un’epifania della bontà di Dio e del suo amore per gli uomini (Tt 3,4)….
In base alla storia (dei Magi d’Oriente) raccontata da Matteo possiamo sicuramente farci un’idea di quale tipo di uomini debbano essere stati coloro che, in seguito al segno della stella, si sono incamminati per trovare quel Re che, non soltanto per Israele, ma per l’umanità intera avrebbe fondato una nuova specie di regalità. Che tipo di uomini, dunque, erano costoro? E domandiamoci anche se, malgrado la differenza dei tempi e dei compiti, a partire da loro si possa intravvedere qualcosa su che cosa sia il vescovo e su come egli debba adempiere il suo compito.
Gli uomini che allora partirono verso l’ignoto erano, in ogni caso, uomini dal cuore inquieto. Uomini spinti dalla ricerca inquieta di Dio e della salvezza del mondo. Uomini in attesa, che non si accontentavano del loro reddito assicurato e della loro posizione sociale forse considerevole. Erano alla ricerca della realtà più grande. Erano forse uomini dotti che avevano una grande conoscenza degli astri e probabilmente disponevano anche di una formazione filosofica. Ma non volevano soltanto sapere molte cose. Volevano sapere soprattutto la cosa essenziale. Volevano sapere come si possa riuscire ad essere persona umana. E per questo volevano sapere se Dio esista, dove e come Egli sia. Se Egli si curi di noi e come noi possiamo incontrarlo. Volevano non soltanto sapere. Volevano riconoscere la verità su di noi, e su Dio e il mondo. Il loro pellegrinaggio esteriore era espressione del loro essere interiormente in cammino, dell’interiore pellegrinaggio del loro cuore. Erano uomini che cercavano Dio e, in definitiva, erano in cammino verso di Lui. Erano ricercatori di Dio.
Ma con ciò giungiamo alla domanda: come deve essere un uomo a cui si impongono le mani per l’Ordinazione episcopale nella Chiesa di Gesù Cristo? Possiamo dire: egli deve soprattutto un uomo il cui interesse è rivolto verso Dio, perché solo allora egli si interessa anche degli uomini. Potremmo dirlo anche inversamente: un Vescovo deve essere un uomo a cui gli uomini stanno a cuore, che è toccato dalle vicende degli uomini. Deve essere un uomo per gli altri. Ma può esserlo veramente soltanto se è un uomo conquistato da Dio. Se per lui l’inquietudine verso Dio è diventata un’inquietudine per la sua creatura, l’uomo. Come i Magi d’Oriente, anche un Vescovo non deve essere uno che esercita solamente il suo mestiere e non vuole altro. No, egli deve essere preso dall’inquietudine di Dio per gli uomini. Deve,per così dire, pensare e sentire insieme con Dio. Non è solo l’uomo ad avere in sé l’inquietudine costitutiva verso Dio, ma questa inquietudine è una partecipazione all’inquietudine di Dio per noi. Poiché Dio è inquieto nei nostri confronti, Egli ci segue fin nella mangiatoia, fino alla Croce. “Cercandomi ti sedesti stanco, mi hai redento con il supplizio della Croce: che tanto sforzo non sia vano!”,prega la Chiesa nel Dies irae. L’inquietudine dell’uomo verso Dio e, a partire da essa, l’inquietudine di Dio verso l’uomo devono non dare pace al Vescovo. E’ questo che intendiamo quando diciamo che il Vescovo deve essere soprattutto un uomo di fede. Perché la fede non è altro che l’essere interiormente toccati da Dio, una condizione che ci conduce sulla via della vita. La fede ci tira dentro uno stato in cui siamo presi dall’inquietudine di Dio e fa di noi dei pellegrini che interiormente sono in cammino verso il re del mondo e verso la sua promessa di giustizia, di verità e di amore. In questo pellegrinaggio, il vescovo deve precedere, deve essere colui che indica agli uomini la strada verso la fede, la speranza e l’amore.
Il pellegrinaggio interiore della fede verso Dio si svolge soprattutto nella preghiera. Sant’Agostino ha detto una volta che la preghiera, in ultima analisi, non sarebbe altro che l’attualizzazione e la radicalizzazione del nostro desiderio di Dio. Al posto della parola “desiderio” potremmo mettere anche la parola “inquietudine” e dire che la preghiera vuole strapparci alla nostra falsa comodità, al nostro essere chiusi nelle realtà materiali, visibili e trasmetterci l’inquietudine verso Dio, rendendoci così anche aperti e inquieti gli uni per gli altri. Il Vescovo, come pellegrino di Dio, deve essere soprattutto un uomo che prega. Deve essere in un permanente contatto interiore con Dio; la sua anima deve essere largamente aperta verso Dio. Le sue difficoltà e quelle degli altri, come anche le sue gioie e quelle degli altri le deve portare a Dio, e così, a modo suo, stabilire il contatto tra Dio e il mondo nella comunione con Cristo, affinché la luce di Cristo splenda nel mondo.
Torniamo ai Magi d’Oriente. Questi erano anche e soprattutto uomini che avevano coraggio, il coraggio e l’umiltà della fede. Ci voleva il coraggio per accogliere il segno della stella come un ordine per partire, per uscire – verso l’ignoto, l’incerto, su vie sulle quali c’erano molteplici pericoli in agguato. Possiamo immaginare che la decisione di questi uomini abbia suscitato derisione: la beffa dei realisti che potevano soltanto deridere le fantasticherie di questi uomini. Chi partiva su promesse incerte, rischiando tutto, poteva apparire soltanto ridicolo. Ma per questi uomini toccati interiormente da Dio, la via secondo le indicazioni divine era più importante dell’opinione della gente. La ricerca della verità era per loro più importante della derisione del mondo, apparentemente intelligente.
Come non pensare, in una tale situazione, al compito di un Vescovo nel nostro tempo? L’umiltà della fede, del credere insieme con la fede della Chiesa di tutti i tempi, si troverà ripetutamente in conflitto con l’intelligenza dominante di coloro che si attengono a ciò che apparentemente è sicuro. Chi vive e annuncia la fede della Chiesa, in molti punti non è conforme alle opinioni dominanti proprio anche nel nostro tempo. L’agnosticismo oggi largamente imperante ha i suoi dogmi ed è estremamente intollerante nei confronti di tutto ciò che lo mette in questione e mette in questione i suoi criteri. Perciò, il coraggio di contraddire gli orientamenti dominanti è oggi particolarmente pressante per un Vescovo. Egli deve essere valoroso. E tale valore e fortezza non consiste nel colpire con violenza, nell’aggressività, ma nel lasciarsi colpire e nel tenere testa ai criteri delle opinioni dominanti. Il coraggio di restare fermamente con la verità è inevitabilmente richiesto a coloro che il Signore manda come agnelli in mezzo ai lupi. “Chi teme il Signore non ha paura di nulla “ dice il Siracide (34,16). Il timore di Dio libera dal timore degli uomini. Rende liberi!
In questo contesto mi viene in mente un episodio degli inizi del cristianesimo che san Luca narra negli Atti degli Apostoli. Dopo il discorso di Gamaliele, che sconsigliava la violenza verso la comunità nascente dei credenti in Gesù, il sinedrio chiamò gli Apostoli e li fece flagellare. Poi proibì loro di predicare nel nome di Gesù e li rimise in libertà. San Luca continua: “Essi allora se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di GesùE ogni giorno…non cessavano di insegnare e di annunciare che Gesù è il Cristo” (At 5,40ss)Anche i successori degli Apostoli devono attendersi di essere ripetutamente percossi, maniera moderna, se non cessano di annunciare in modo udibile e comprensibile il Vangelo di Gesù Cristo. E allora possono essere lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per Lui. Naturalmente vogliamo, come gli Apostoli, convincere la gente e, in questo senso, ottenere l’approvazione. Naturalmente non provochiamo, ma tutt’al contrario invitiamo tutti ad entrare nella gioia della verità che indica la strada. L’approvazione delle opinioni dominanti, però, non è il criterio a cui ci sottomettiamo. Il criterio è Lui stesso: il Signore. Se difendiamo la sua causa, conquisteremo, grazie a Dio, sempre di nuovo persone per la via del Vangelo. Ma inevitabilmente saremo anche percossi da coloro che, con la loro vita, sono in contrasto col Vangelo, e allora possiamo essere giudicati degni di partecipare alla Passione di Cristo.
I Magi hanno seguito la stella, e così sono giunti fino a Gesù, alla grande luce  che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1,9). Come pellegrini della fede, i Magi sono diventati essi stessi stelle che brillano nel cielo della storia e ci indicano la strada. I santi sono le vere costellazioni di Dio, che illuminano le notti di questo mondo e ci guidano. San Paolo, nella Lettera ai Filippesi, ha detto ai suoi fedeli che devono risplendere come astri nel mondo (2,15).
Cari amici, ciò riguarda anche noi. Ciò riguarda soprattutto voi che, in quest’ora, sarete ordinati Vescovi della Chiesa di Gesù Cristo. Se vivrete con Cristo, a Lui nuovamente legati nel Sacramento, allora anche voi diventerete sapienti. Allora diventerete astri  che precedono gli uomini e indicano loro la via giusta della vita. In quest’ora noi tutti preghiamo per voi, affinché il Signore vi ricolmi con la luce della fede e dell’amore. Affinché quell’inquietudine di Dio per l’uomo vi tocchi, perché tutti sperimentino  la sua vicinanza e ricevano il dono della sua gioia. Preghiamo per voi, affinché il Signore vi doni sempre il coraggio e l’umiltà della fede. Preghiamo Maria che ha mostrato ai Magi il nuovo re del mondo (Mt 2,11), affinché ella, quale Madre amorevole, mostri Gesù Cristo anche a voi e vi aiuti ad essere indicatori della strada che porta a Lui” (Benedetto XVI, Omelia della Solennità dell’Epifania del Signore, 6 gennaio 2013).

Anche di fronte al desolante e spesso sconcertante panorama, nel quale l’errore, con l’attuale potenza mediatica, obnubila  molte menti, le lamentazioni e il pessimismo in chi ha fede non sono giustificati. Non mancano persone e strumenti in grado di farci comprendere che nella Chiesa, anche quando essa sotto l’attacco delle tempeste,lo Spirito Santo continua a soffiare e ad operare servendosi di anime profondamente legate a Dio, pronte a fronteggiare una battaglia destinata ad essere vinta, indipendentemente dalla forza dei nemici, proprio perché, come sostiene san Paolo, la nostra battaglia è sì contro gli angeli decaduti e Satana in persona, ma è per e con Nostro Signore Gesù Cristo. Pazienza, combattimento, perseveranza, abnegazione e sacrificio sono la reale dimostrazione di chi ama con fede la Chiesa. Come afferma Mattei: “Noi non possiamo salvare la Chiesa, possiamo amarla e servirla, imitando l’esempio di tutti coloro che nel corso della storia per essa hanno dato la vita. Chi pretende di salvare la Chiesa vuole costruire una Chiesa secondo la propria opinione, diversa da quella di Cristo. La Chiesa istituita da Gesù Cristo è monarchica perché fondata sul primato di Pietro ed è gerarchica perché i vescovi, in unione con il papa, esercitano in essa un supremo potere di governo e di santificazione. Né il papa né i vescovi possono cambiare la legge del Vangelo tramandata da Gesù stesso (…). La crisi attuale non nasce da questo modello di dottrina e di vita, che la Tradizione ci consegna, ma dall’allontanamento da essa. Tutti gli eresiarchi, nel corso dei secoli, hanno propugnato una pseudo – riforma della Chiesa che ne sfigurasse il volto. Ma l’unica vera riforma è quella di riscoprire la Tradizione, che non è altro che il perenne insegnamento di Cristo, e viverla con coerenza, come hanno fatto i santi. Nelle epoche difficili della Chiesa sono stati i santi, non gli eretici, a salvarla” (pp. 16-17).  
La Tradizione è la coscienza della comunità, garantita dal Magistero, che vive ora, ricca della memoria di tutta la sua vicenda storica, con i 21 Concili Ecumenici dopo quello di Gerusalemme.

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