Alla questione della morte rispondiamo con la fede in Dio
Come rispondiamo noi cristiani alla questione della morte? Rispondiamo con la fede in Dio, con uno sguardo di solida speranza che si fonda sulla Morte e Risurrezione di Gesù Cristo. Allora la morte apre alla vita, a quella eterna, che non è un infinito doppione del tempo presente, ma qualcosa di completamente nuovo. La fede ci dice che la vera immortalità alla quale aspiriamo non è un’idea, un concetto, ma una relazione di comunione piena con il Dio vivente: è lo stare nelle sue mani, nel suo amore, e diventare in Lui una cosa sola con tutti i fratelli e le sorelle che Egli ha creato e redento, con l’intera creazione.
“Nei nostri cuori è presente e vivo il clima della comunione dei Santi e della commemorazione dei fedeli defunti, che la liturgia ci ha fatto vivere in modo intenso nelle celebrazioni dei giorni scorsi. In particolare, la visita ai cimiteri ci ha permesso di rinnovare il legame con le persone care che ci hanno lasciato; la morte, paradossalmente, conserva ciò che la vita non può trattenere. Come i nostri defunti
hanno vissuto, che cosa hanno amato, temuto e sperato, che cosa hanno rifiutato, lo scopriamo, infatti, in modo singolare proprio alle tombe, che sono rimaste quasi uno specchio della loro esistenza, del loro mondo: esse ci interpellano e ci inducono a riannodare un dialogo che la morte ha messo in crisi. Così, i luoghi della sepoltura costituiscono come una sorte di assemblea, nella quale i vivi incontrano i propri defunti e con loro rinsaldano i vincoli di una comunione che la morte non ha potuto interrompere. E qui a Roma, in quei cimiteri peculiari che sono le catacombe, avvertiamo, come in nessun altro luogo, i legami profondi con la cristianità antica, che sentiamo così vicina. Quando ci incontriamo nei corridoi delle catacombe romane – come pure in quelle dei cimiteri delle nostre città e dei nostri paesi -, è come se noi varcassimo una soglia immateriale ed entrassimo in comunicazione con coloro che li custodiscono il loro passato, fatto di gioie e di dolori, di sconfitte e di speranze. Ciò avviene, perché la morte riguarda l’uomo di oggi esattamente come quello di allora; e anche se tante cose dei tempi passati ci sono diventate estranee, la morte è rimasta la stessa.
Di fronte a questa realtà, l’essere umano di ogni epoca cerca uno spiraglio di luce che faccia sperare, che parli ancora di vita, e anche la visita alle tombe esprime questo desiderio. Ma come rispondiamo noi cristiani alla questione della morte? Rispondiamo con la fede in Dio, con uno sguardo di solida speranza che si fonda sulla Morte e Risurrezione di Gesù Cristo. Allora la morte apre alla vita, a quella eterna, che non è un infinito doppione del tempo presente, ma qualcosa di completamente nuovo. La fede ci dice che la vera immortalità alla quale aspiriamo non è un’idea, un concetto, ma una relazione di comunione piena con il Dio vivente: è lo stare nelle sue mani, nel suo amore, e diventare in Lui una cosa sola con tutti i fratelli e le sorelle che Egli ha creato e redento, con l’intera creazione. La nostra speranza allora riposa sull’amore di Dio che risplende nella Croce di Cristo e che fa risuonare nel cuore le parole di Gesù al buon ladrone: “Oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43). Questa è la vita giunta alla sua pienezza: quella in Dio; una vita che noi ora possiamo soltanto intravvedere come si scorge il cielo sereno attraverso la nebbia.
In questo clima di fede e di preghiera, cari Fratelli, siamo raccolti attorno all’altare per offrire il Sacrificio eucaristico in suffragio dei Cardinali, degli Arcivescovi e dei Vescovi che durante l’anno scorso, hanno terminato la loro esistenza terrena…Ripensando alla testimonianza di questi nostri venerati Fratelli, possiamo riconoscere in essi quei discepoli “miti”, “misericordiosi”, “puri di cuore”, “operatori di pace” di cui ha parlato la pericope evangelica (Mt 5,1-12): amici del Signore che, fidandosi della sua promessa, nelle difficoltà e anche nelle persecuzioni hanno conservato la gioia della fede, ed ora abitano per sempre la casa del Padre e godono della ricompensa celeste, ricolmi di fedeltà e di grazia. I Pastori che oggi ricordiamo hanno, infatti, servito la Chiesa con fedeltà e amore, affrontando talvolta prove onerose, pur di assicurare al gregge loro affidato attenzione e cura. Nella varietà delle rispettive doti e mansioni, hanno dato esempio di solerte vigilanza, di saggia e zelante dedizione al regno di Dio, offrendo un prezioso contributo alla stagione post – conciliare, tempo di rinnovamento in tutta la Chiesa.
La Mensa eucaristica, alla quale si sono accostati, dapprima come fedeli e poi quotidianamente, come ministri, anticipa nel modo più eloquente quanto il Signore ha promesso nel “discorso della montagna”: il possesso del Regno dei cieli, il prendere parte alla mensa della Gerusalemme celeste. Preghiamo perché ciò si compia in tutti. La nostra preghiera è alimentata da questa ferma speranza che “non delude” (Rm 5,5), perché garantita da Cristo che ha voluto vivere nella carne l’esperienza della morte per trionfare su di essa con il prodigioso avvenimento della Risurrezione. “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto” (Lc 24,5-6). Questo annuncio degli angeli, proclamato la mattina di Pasqua presso il sepolcro vuoto, è giunto attraverso i secoli fino a noi, e ci propone, anche in questa assemblea liturgica, il motivo essenziale della nostra speranza. Infatti, “se siamo morti con Cristo – ricorda san Paolo alludendo a ciò che è avvenuto nel Battesimo, - crediamo che anche vivremo con lui” (Rm 6,8). E’ lo stesso Spirito Santo, per mezzo del quale l’amore di Dio è stato riversato nei ostri cuori, a far sì che la nostra speranza non sia vana (Rm 5,5). Dio Padre, ricco di misericordia, che ha dato alla morte il suo Figlio unigenito quando eravamo ancora peccatori, come non ci donerà la salvezza ora che siamo giustificati per il sangue di Lui (Rm 5,6-11)? La nostra giustizia si basa sulla fede in Cristo. E’ Lui il “Giusto”, preannunciato in tutte le Scritture; è grazie al suo Mistero pasquale che, varcando la soglia della morte, i nostri occhi potranno vedere Dio, contemplare il suo volto (Gb 19,27°).
Alla singolare esistenza umana del Figlio di Dio si affianca quella della sua Madre Santissima, che, sola tra tutte le creature, veneriamo Immacolata e piena di grazia. I nostri Fratelli cardinali e Vescovi, di cui oggi facciamo memoria, sono stati amati con predilezione dalla Vergine Maria e hanno ricambiato il suo amore con devozione filiale. Alla sua materna intercessione vogliamo oggi affidare le loro anime, affinché siano da Lei introdotti nel Regno eterno del Padre, attorniati da tanti loro fedeli per i quali hanno speso la vita. Col suo sguardo premuroso vegli Maria su di essi, che ora dormono il sono della pace in attesa della beata risurrezione. E noi eleviamo a Dio per loro la nostra preghiera, sorretti dalla speranza di ritrovarci tutti un giorno, uniti per sempre in Paradiso” (Benedetto XVI, Omelia del 3 novembre 2012).
Come rispondiamo noi cristiani alla questione della morte? Con uno sguardo di solida speranza che si fonda sulla Morte e Risurrezione di Gesù Cristo.”Allora la morte apre alla vita, a quella eterna, che non è un infinito doppione del tempo presente, ma qualcosa di completamente nuovo”.
Il contenuto essenziale dell’annuncio biblico della risurrezione non è tanto l’idea di una restituzione dei corpi alle anime, secondo una visione dualistica della persona, del tutto estranea al mondo e al linguaggio biblico; quanto piuttosto l’idea che l’essenziale dell’uomo rimane. La questione del modo della risurrezione era già stata posta a san Paolo dai cristiani di Corinto: “Come risorgono i morti? Con quale corpo verranno?”. La risposta di Paolo è lapidaria: “Stolto!” (1 Cor 15,35ss). “Paolo afferma dottrinalmente non la risurrezione dei corpi, bensì quella delle persone, facendo poi consistere quest’ultima non nella ricostituzione dei “corpi di carne”, ossia delle strutture biologiche, che egli designa esplicitamente come impossibile( “il corruttibile non può diventare incorruttibile”), bensì nella diversità specifica che caratterizza la vita della risurrezione, così come si è presentata esemplarmente a noi nel Signore risorto” (J. Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo, p. 296). Ciò non significa cadere in una sorta di spiritualizzazione della risurrezione, in quanto questa non può non coinvolgere anche la materia e non può non interessare anche il cosmo intero. La risposta più convincente circa la realtà della vita nuova della risurrezione viene offerta proprio dal Cristo risorto. I racconti di apparizioni del Signore risorto, nella loro ricchezza e anche nella loro complessità interpretativa, ci consentono di dire che da una parte il Cristo risorto non è semplicemente uno che è ritornato alla vita biologica di prima (come invece è accaduto per Lazzaro e per gli altri morti risuscitati da Gesù) e dall’altra che Gesù risorto, realizzando la più grande “mutazione” mai accaduta, non è neppure un fantasma, un puro spirito. Egli invece si lascia toccare da Tommaso e mangia con i discepoli. Dice bene Benedetto XVI nel suo libro,Gesù di Nazareth. Seconda parte: il Risorto “è pienamente corporeo. E tuttavia non è legato alle leggi della corporeità, alle leggi di spazio e tempo. In questa sorprendente dialettica tra identità e alterità, tra corporeità e libertà dai legami del corpo si manifesta l’essenza peculiare, misteriosa della nuova esistenza del Risorto. Valgonoinfatti ambedue le cose: Egli è lo stesso – un Uomo in carne ed ossa – Egli è anche il Nuovo, Colui che è entrato in un genere diverso di esistenza” (pp. 295-296), il salto decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazareth, ma con Lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo.
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