Evangelizzare
La Chiesa non comincia con il “fare” nostro, ma con il “fare” e il “parlare” di Dio attraverso di essa: è il Vangelo cioè la notizia che Dio ha parlato e quindi parla e parlerà, ha veramente rotto il grande silenzio, si è mostrato, è in continuità con noi, ci rende partecipi della sua vita come figli nel Figlio
“La grande sofferenza dell’uomo – in quel tempo, come oggi – è proprio questa: dietro il silenzio dell’universo, dietro le nuvole della storia c’è un Dio o non c’è? E, se c’è questo Dio, ci conosce, ha a che fare con noi? Questo Dio è buono, e la realtà del bene ha potere nel mondo o no? Questa domanda oggi è così attuale come lo era in quel tempo. Tanta gente si domanda: Dio è una ipotesi o no? È una
realtà o no? Perché non si fa sentire? “Vangelo” vuol dire: Dio ha rotto il suo silenzio, Dio ha parlato, Dio c’è. Questo fatto come tale è salvezza: Dio ci conosce, Dio ci ama, è entrato nella storia. Gesù è la sua Parola, il Dio con noi, il Dio che ci mostra che ci ama, che soffre con noi fino alla morte e risorge. Questo è il vangelo stesso. Dio ha parlato, non è più il grande sconosciuto, ma ha mostrato se stesso e questa è la salvezza.
La questione per noi è: Dio ha parlato, ha veramente rotto il grande silenzio, si è mostrato, ma come possiamo far arrivare questa realtà all’uomo di oggi, affinché diventi salvezza? Di per sé il fatto che abbia parlato è la salvezza, è la redenzione. Ma come può saperlo l’Uomo? Questo punto mi sembra che sia un interrogativo, ma anche una domanda, un mandato per noi: possiamo trovare risposta meditando l’Inno dell’Ora Terza “Nunc,Sancte, nobis Spiritus”. La prima strofa dice: “Dignare promptus ingeri nostro refusus, pectoris”, e cioè preghiamo affinché venga lo Spirito Santo, sia in noi e con noi. Con altre parole: noi non possiamo fare la Chiesa, possiamo solo far conoscere quanto ha fatto Lui. La Chiesa non comincia con il “fare” nostro, ma con il “fare” e il “parlare” di Dio. Così gli Apostoli non hanno detto, dopo alcune assemblee: adesso vogliamo creare una Chiesa, e con la forma di una costituente avrebbero elaborato una costituzione. No, hanno pregato e in preghiera hanno aspettato, perché sapevano che solo Dio stesso può creare la sua Chiesa, che Dio è il primo agente: se Dio non agisce, le nostre cose sono solo le nostre e sono insufficienti; solo Dio può testimoniare che è Lui che parla e ha parlato. Pentecoste è la condizione della nascita della Chiesa: solo perché Dio prima ha agito, gli Apostoli possono agire con Lui e con la sua presenza e far presente quanto fa Lui. Dio ha parlato e questo “ha parlato” è il perfetto della fede, ma è sempre anche un presente: il perfetto di Dio non è solo un passato, perché è un passato vero che porta sempre in sé il presente e il futuro. Dio ha parlato vuol dire: “parla”. E come in quel tempo solo con l’iniziativa di Dio poteva nascere la Chiesa, poteva essere conosciuto il vangelo, il fatto che Dio ha parlato e parla, così anche oggi solo Dio può cominciare, noi possiamo solo cooperare, ma l’inizio deve venire da Dio. Perciò non è una mera formula se cominciamo ogni giorno la nostra Assise con la preghiera: questo risponde alla realtà stessa. Solo il precedere di Dio rende possibile il camminare nostro, il cooperare nostro, che è sempre un cooperare, non una nostra pura decisione. Perciò è importante sempre sapere che la prima parola, l’iniziativa vera, l’attività vera viene da Dio e solo inserendoci in questa iniziativa divina, solo implorando questa iniziativa divina, possiamo anche noi divenire – con Lui e in Lui –evangelizzatori. Dio è l’inizio sempre, e sempre solo Lui può fare Pentecoste, può creare la Chiesa, può mostrare la realtà del suo essere con noi. Ma dall’altra parte, però, questo Dio, che è sempre l’inizio, vuole anche il coinvolgimento nostro, vuole coinvolgere la nostra attività, così che le attività sono teandriche, per così dire, fatte da Dio, ma con il coinvolgimento nostro implicando il nostro essere, tutta la nostra attività.
Quindi quando facciamo noi la nuova evangelizzazione è sempre cooperazione con Dio, sta nell’insieme con Dio, è fondata sulla preghiera e sula sua presenza reale” (Benedetto XVI, Meditazione del Santo Padre nel corso della Prima Congregazione Generale, 8 ottobre 2012).
Questo tema Benedetto XVI l’aveva trattato il 22 dicembre del 2005 affermando che si fraintenderebbe la natura del Concilio, tanto più quella di un Sinodo come tale ritenerli, agire come fossero o una Costituente. Non possono essere considerati come un specie di Costituente, che eliminerebbe una costituzione vecchia della Chiesa, una Chiesa pre-conciliare, pre - sinodale e ne creerebbe una nuova. Ma la Costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da parte del mandante, cioè del popolo al quale la costituzione deve servire. I Padri conciliari non avevano, come non ce l’hanno i Padri sinodali, un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno del resto, poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e ci è stata data affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna e, partendo da questa prospettiva, siamo in grado di illuminare anche la nostra vita nel tempo e il tempo stesso. I Vescovi, mediante il sacramento che hanno ricevuto, sono fiduciari del dono del Signore. Sono “amministratori dei misteri di Dio” (1 Cor 4,1); come tali devono essere trovati “fedeli e saggi” (Lc 12, 41-48). Ciò significa che devono amministrare il dono del Signore in modo giusto, affinché non resti occultato in qualchenascondiglio, ma porti frutto e il Signore, alla fine, possa dire all’amministratore: “Poiché sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto” (Mt 25,14-30; Lc 19,11-27). In queste parabole evangeliche si esprime la dinamica della fedeltà, che interessa nel servizio del Signore, e in esse si rende anche evidente, come in un Concilio, e tanto più in un Sinodo, dinamica e fedeltà debbano diventare una cosa sola. Lo strumento più grande della comunicazione del vero vivente nella vita della Chiesa è la sua stessa continuità dinamica: si chiama Tradizione.
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