C'è una nuova primavera nel cristianeismo
C’è una nuova primavera nel Cristianesimo
D.-“Santità, nelle sue Encicliche Lei sta proponendo un’antropologia forte, un uomo abitato dalla carità di Dio, un uomo dalla razionalità allargata dall’esperienza di fede, un uomo che ha una responsabilità sociale grazie alla dinamica della carità, ricevuta e donata nella verità. Santità, proprio in questo orizzonte antropologico in cui il messaggio evangelico esalta tutti gli elementi degni della
persona umana, purificando le scorie che offuscano l’autentico volto dell’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio, Lei ha più volte ribadito che questa riscoperta del volto umano dei valori evangelici, delle profonde radici dell’Europa è motivo di grande speranza per il continente europeo e non solo. Può spiegarci le ragioni della sua speranza?
R. - “Il primo motivo della mia speranza consiste nel fatto che il desiderio di Dio,la ricerca di Dio è profondamente scritta in ogni anima umana e non può scomparire. Certamente, per un certo tempo, si può dimenticare Dio, accantonarlo, occuparsi di altre cose, ma Dio non scompare mai. E’ semplicemente vero quanto dice sant’Agostino, che noi uomini siamo inquieti finché non abbiamo trovato Dio. Questa inquietudine anche oggi esiste. E’ la speranza che l’uomo sempre di nuovo, anche oggi, si ponga in cammino verso questo Dio. Il secondo motivo della mia speranza consiste nel fatto che il vangelo di Gesù Cristo, la fede in Cristo è semplicemente vera. E la verità non invecchia. Anch’essa si può dimenticare per un certo tempo, si possono trovare altre cose, la si può accantonare, ma la verità come tale non scompare. Le ideologie hanno un tempo contato. Sembrano forti, irresistibili, ma dopo un certo periodo si consumano, non hanno più forza in loro, perché manca in loro una verità profonda. Sono particelle di verità, ma alla fine si sono consumate. Invece il Vangelo è vero, e perciò non si consuma mai. In tutti i periodi della storia appaiono sue nuove dimensioni, appare tutta la sua novità nel rispondere alle esigenze del cuore e della ragione umana, che può camminare in questa verità e trovarvisi. E perciò, proprio in questo motivo, sono convinto che ci sia una nuova primavera del cristianesimo. Un terzo motivo empirico lo vediamo nel fatto che questa inquietudine oggi lavora nella gioventù. I giovani hanno visto tante cose – le offerte delle ideologie e del consumismo – ma colgono il vuoto in tutto questo, la sua insufficienza. L’uomo è creato per l’infinito. Tutto il finito è troppo poco. E perciò vediamo come, proprio nelle nuove generazioni, questa inquietudine si risveglia di nuovo ed essi si mettono in cammino, e così ci sono nuove scoperte della bellezza del cristianesimo. Un cristianesimo non a prezzo moderato, non ridotto, me nella sua radicalità e profondità. Quindi mi sembra che l’antropologia come tale ci indichi che ci saranno sempre nuovi risvegli del cristianesimo e i fatti lo confermano con una parola: fondamento profondo. È il cristianesimo. E’ vero, e la verità ha sempre un futuro”.
D. – “Santità, lei ha più volte ribadito che l’Europa ha avuto e ha tuttora un influsso culturale su tutto il genere umano e non può fare ameno di sentirsi particolarmente responsabile, non solo del proprio futuro, ma anche di quello dell’umanità intera. Guardando avanti, è possibile tratteggiare i contorni della testimonianza visibile dei cattolici e dei cristiani appartenenti alla Chiese ortodosse e alle comunità protestanti, nell’Europa dall’Atlantico agli Urali, che, vivendo i valori evangelici in cui credono contribuiscano alla costruzione di un’Europa più fedele a Cristo, più accogliente, solidale, non solo custodendo l’eredità culturale e spirituale che li contraddistingue, ma anche nell’impegno a cercare vie nuove per affrontare le grandi sfide comuni che contrassegnano l’epoca post – moderna e multiculturale?”
R. – “Si tratta della grande questione. E’ evidente che l’Europa ha anche oggi nel mondo un grande peso sia economico, sia culturale e intellettuale. E, in corrispondenza a questo peso, ha una grande responsabilità. Ma l’Europa deve, come lei ha accennato, trovare ancora la sua piena identità per poter parlare e agire secondo la sua responsabilità. Il problema oggi non sono più, secondo me, le differenze nazionali. Si tratta di diversità che non sono più divisioni, grazie a Dio. Le nazioni rimangono e nella loro diversità culturale, umana, temperamentale, sono una ricchezza che si completa e dà nascita ad una grande sinfonia di culture. Sono fondamentalmente una cultura comune. Il problema dell’Europa di trovare la sua identità mi sembra consistere nel fatto che in Europa oggi abbiamo due anime:
- un’anima è una ragione astratta, anti – storica, che intende dominare tutto perché si sente sopra tutte le culture. Una ragione finalmente arrivata a se stessa che intende emanciparsi da tutte le tradizioni e i valori culturali in favore di un’astratta razionalità. La prima sentenza di Trasburgo sul Crocifisso era un esempio di questa ragione astratta che vuole emanciparsi da tutte le tradizioni, dalla storia stessa. Ma così non si può vivere. Per di più, anche la ‘ragione pura’ è condizionata da una determinata situazione storica, e solo in questo senso può esistere.
- l’altra anima è quella che possiamo chiamare cristiana, che si apre a tutto quello che è ragionevole, che ha essa stessa creato la ragione l’audacia della ragione e la libertà di una ragione critica, ma rimane ancorata alle radici che hanno dato origine a questa Europa, che l’hanno costruita nei grandi valori, nelle grandi intuizioni, nella visione della fede cristiana. Come lei ha accennato, soprattutto nel dialogo ecumenico tra Chiesa cattolica, ortodossa, comunità protestante, quest’anima deve trovare una comune espressione e deve poi incontrarsi con questa ragione astratta, cioè accettare e conservare la libertà critica della ragione rispetto a tutto quello che può fare e ha fatto, ma praticarla, concretizzarla nel fondamento, nella coesione con i grandi valori che ci ha dato il cristianesimo. Solo in questa sintesi l’Europa può avere il suo peso nel dialogo interculturale dell’umanità di oggi e di domani, perché una ragione che si è emancipata da tutte le culture non può entrare in dialogo interculturale. Solo una ragione che ha unaidentità storica e morale può anche parlare con gli altri, cercare una interculturalità nella quale tutti possono entrare e trovare una unità fondamentale dei valori che possono aprire le strade al futuro, a un nuovo umanesimo, che deve essere il nostro scopo. E per noi questo umanesimo cresce proprio dalla grande idea dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio” (Benedetto XVI, Intervista per il film ‘Belis ofErope’).
Per la nuova evangelizzazione, per aiutare ogni credente a riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata in modo che diventi oggi anche cultura occorre una teologia in relazione al dono della fede, una teologia che presuppone la verità della fede e si proponga di manifestarne “le imprescutabiliricchezze” (Ef 3,8) per la gioia spirituale di tutta la comunità dei credenti e il servizio della sua missione di favorire le risorse della ragione illuminata dalla fede favorendo anche la sua recezione nelle culture attuali, perché “i contenuti essenziali che da secoli costituiscono il patrimonio di tutti i credenti hanno bisogno di essere confermati, compresi e approfonditi in maniera sempre nuova al fine di dare testimonianza coerente in condizioni storiche diverse dal passato” (Benedetto XVI, Porta fidei, n.4). E’ questo il contributo che laCommissione Teologica Internazionale presieduta da S.E.Mons. Gerard L.Muller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. I membri, sentendosi comunità di fede a servizio della Chiesa e quindi attenti al messaggio di conversione di quest’Anno della fede si sono impegnati ad un pellegrinaggio alla Basilica Papale di Santa Maria Maggiore per affidare il proprio lavoro, e quello di tutti i teologi cattolici, alla Vergine fedele, proclamata “beata perché ha creduto” (Lc 1,45), modello dei credenti e baluardo della vera fede.
Bisognerebbe che in tutti i Seminari e le Scuole di teologia, di Scienze religiose facessero proprio il documento della Commissione Teologica Internazionale intitolato La teologia oggi: prospettive, principi e criteri, la teologia deriva tutta intera dalla fede che è vissuta nel popolo di Dio guidato dai suoi Pastori. Difatti solo la fede permette al teologo di accedere realmente al suo oggetto: ossia la verità di Dio, che illumina l’insieme del reale con la luce di un nuovo giorno – sub ratione Dei. E’ sempre la fede, animata dalla carità, a suscitare in lui il dinamismo spirituale che lo spinge ad esplorare senza sosta “la multiforme sapienza di Dio, secondo il disegno eterno che ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore” (Ef 3,10 -11). Come ha scritto San Tommaso d’Aquino, “un uomo infatti che abbia pronta la volontà a credere, ama la verità che crede, riflette su lei e l’abbraccia con le ragioni che può trovare”.
Il teologo lavora dunque per “inculturare” nell’intelligenza umana, sotto forme di un’autentica scienza, i contenuti intelligibili della fede, che fu trasmessa ai credenti una volta per tutte (Lettera di Giuda, v.3). Ma egli rivolge un’attenzione tutta particolare anche allo stesso atto di credere. La teologia tende a “comprendere in modo più profondo non solo i contenuti della fede, ma insieme a questi anche l’atto con cui crediamo di affidarci totalmente a Dio, in piena libertà. Esiste, infatti, un’unità profonda tra l’atto con cui si crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso” (Benedetto XVI, Porta fidei 10).
Di questo atto di fede, il teologo elabora la consonanza antropologica di alto profilo – la “convenienza” (Fides et ratio, nn. 31-33); si interroga perciò sul modo in cui la grazia preveniente di Dio suscita, nel cuore stesso della libertà dell’uomo, il “sì” della fede; e mostra come la fede costituisca il “fondamento di tutto l’edificio spirituale, nel senso che dà forma a tutte le dimensioni della vita cristiana, personale, familiare e comunitaria.
Il lavoro del teologo non soltanto è radicato nella fede vivente del popolo cristiano, attento a quello che “lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 2,7), ma è tutto intero finalizzato alla crescita della fede nel popolo di Dio e alla missione evangelizzatrice della Chiesa. In effetti, il suo compito non è forse quello di puntare ad una “conoscenza che genera, nutre, difende e fortifica la fede supremamente salutare” (Sant’Agostino, DeTrinitate, 1, 3)? Il teologo, dunque, nella collaborazione con il magistero abbraccia il servizio della fede del popolo di Dio come sua propria vocazione (Istruzione Donum veritatis del 24 maggio 1990).
Nello stesso tempo, il teologo è servitore della gioia cristiana, che è “la gioia della verità”. San Tommaso distingue nell’atto di fede tre dimensioni: c’è differenza tra dire “credo Dio” (credo Deum intendendo come l’oggetto della fede) e dire “credo a Dio (credo Deo dove lo indico come colui che attesa), oppure “credo in Dio” (credo in Deum dove lo indico come destinazione del mio atto di fede). Dio può essere considerato l’oggetto, il testimone e il fine della fede: ma se oggetto o testimone della fede non può essere che Dio soltanto, perché il nostro spirito non può essere indirizzato altro che a Dio come a proprio fine. Credere in Dio perciò, è il tratto costitutivo essenziale del dinamismo della fede. Ciò significa che, nella sua personale adesione di fede alla Parola di Dio, il credente è attratto sovranamente dal quel Bene assoluto che è la beata Trinità. E’ il desiderio della beatitudine, infatti, radicato nel più profondo di noi stessi, che mette lo spirito umano in tensione, per condurlo al fiducioso abbandono di tutta la sua vita al Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo. In questo senso, si può dire con verità che la fede – e la stessa teologia, come scientiafidei e sapienza – procura a tutti gli “innamorati della bellezza spirituale” una reale pregustazione della gioia eterna.
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