Nell'anno della fede la questione di Cristo‏


Gesù Cristo non si lascia intrappolare nei soli attributi di liberatore umano che molti attendono o di esemplare morale da imitare senza accettare di incontrarlo oggi, di ascoltare la Sua Parola   o di vivere in comunione ecclesiale con Lui che si dona in persona nei Sacramenti, l’Eucarestia in particolare

“In questa domenica nella quale il vangelo ci interroga sulla vera identità di Gesù, eccoci trasportati, insieme con i discepoli, sulla strada che conduce verso i villaggi della regione di Cesarea di Filippo. “E voi, chi dite che io sia?” (Mc 8,29), chiede loro Gesù. Il momento scelto per porre loro questa domanda non è senza significato. Gesù si trova ad una svolta decisiva per la propria esistenza. Sale verso Gerusalemme, verso il luogo dove si compirà, mediante la croce e la risurrezione, l’evento centrale della
nostra salvezza. E’ ancora a Gerusalemme che, allo sfociare di tutti questi eventi, la Chiesa nascerà. E quando in questo momento decisivo, Gesù chiede dapprima ai discepoli: “La gente, chi dice che io sia?” (Mc 8,27), le risposte che essi gli riferiscono sono diverse: Giovanni il Battista, Elia, un profeta! Ancora oggi, come lungo i secoli, quanti, nei modi più disparati, hanno trovato Gesù sulla loro strada dando le proprie risposte. Sono approcci che possono permettere di trovare la via della verità. Ma senza essere necessariamente falsi, rimangono insufficienti, poiché non raggiungono il cuore dell’identità di Gesù. Soltanto chi accetta di seguirlo sulla sua via, di vivere in comunione con lui nella comunità dei discepoli, può averne una conoscenza autentica. E’ allora che Pietro, il quale da un certo tempo è vissuto con Gesù, offre la propria risposta: “Tu sei il Messia” (Mc 8,29). Risposta giusta, senza alcun dubbio, ma ancora insufficiente, poiché Gesù sente il bisogno di precisarla. Egli intravvede che la gente potrebbe servirsi di questa risposta per dei disegni che non sono i suoi, per suscitare false speranze temporali su di lui. Non si lascia intrappolare nei soli attributi del liberatore umano che molti attendono.
Annunciando ai discepoli che dovrà soffrire, essere messo a  morte prima di risuscitare. Gesù vuol far comprendere chi Egli è in verità. Un Messia sofferente, un Messia servo, e non un liberatore politico onnipotente. E’ il servo obbediente alla volontà del Padre suo fino a perdere la propria vita. E’ ciò che annunciava già il profeta Isaia. Così Gesù va contro quanto molti si aspettavano da lui. La sua affermazione è shoccante e sconcertante. E si sente la contestazione di Pietro, che lo rimprovera, rifiutando per il suo Maestro la sofferenza e la morte! Gesù è severo verso di lui, e fa capire che chi vuol essere suo discepolo deve accettare di essere servo, come Lui si è fatto Servo.
Porsi alla sequela di Gesù significa prendere la propria croce per accompagnarlo nel suo cammino scomodo che non è quello del potere o della gloria terrena, ma quello che conduce necessariamente a rinunciare a se stessi, a perdere la propria vita per Cristo e il Vangelo, al fine di salvarla. Poiché siamo certi che questa via conduce alla risurrezione, alla vita vera e definitiva con Dio. Decidere di accompagnare Gesù Cristo che si è fatto il Servo di tutti esige un intimità sempre più grande con Lui, ponendosi all’ascolto attento della sua Parola per attingervi l’ispirazione del nostro agire. Nel promulgare l’Anno della fede, che comincerà l’11 ottobre prossimo, ho voluto che ogni fedele possa impegnarsi in maniera rinnovata su questa via di conversione del cuore. Lungo tutto l’arco di questo anno, vi incoraggio dunque vivamente ad approfondire la vostra riflessione sulla fede per renderla più consapevole e per rafforzar la vostra adesione a Cristo Gesù e al suo Vangelo.
Fratelli e sorelle, la via sulla quale Gesù ci vuole condurre è una via di speranza per tutti. La gloria di Gesù si rivela nel momento in cui, nella sua umanità, Egli si mostra più debole, specialmente nell’Incarnazione e sulla croce. E’ in questo modo che Dio manifesta il suo amore, facendosi servo, donandosi a noi. Non è questo un mistero straordinario, talvolta difficile da ammettere? Lo stesso Apostolo Pietro non lo comprenderà che più tardi…
Cari fratelli e sorelle che soffrite nel corpo o nel cuore, la vostra sofferenza non è vana! Cristo Servo si fa vicino a tutti coloro che soffrono. E’ presente accanto a voi. Possiate trovare sulla vostra strada fratelli e sorelle che manifestano concretamente la sua presenza amorevole che non può abbandonarvi! Siate pieni di speranza a causa di Cristo! (Benedetto XVI,Santa Messa e consegna dell’Esortazione Apostolica Post - sinodale per il Medio Oriente, Domenica, 16 settembre 2012).

Nell’Anno della fede due sono le questioni da affrontare: la questione di Dio e quindi di ogni essere umano e la questione di Cristo Con tutti gli uomini occorre tornare ai fondamenti di ogni essere umano, il proprio e altrui essere dono irripetibile, cioè persona, del Donatore divino. La dignità di ogni uomo è inseparabile dal carattere sacro di ogni vita donata dal Creatore, dal suo concepimento al termine naturale. Nel disegno di Dio, ogni persona è unica e insostituibile. Essa viene al mondo in una famiglia di uomo – donna, che è il suo primo luogo di umanizzazione. La grandezza e la ragion d’essere di ogni persona non si trovano che in Dio. Così, il riconoscimento incondizionato della dignità di ogni essere umano, di ciascuno di noi, e quella del carattere sacro della vita implicano la responsabilità di tutti davanti a Dio, qualunque sia la religione e la fede. Dobbiamo dunque unire i nostri sforzi, fedeli alla nostra identità per sviluppare insieme una sana antropologia che comprenda l’unità di ogni persona, sempre fine e mai riduttivamente mezzo per altri o per altro. Questo è il vero e universale umanesimo.
La questione di Cristo rimanda al battesimo: il Signore, nella ricerca universale del vero, del bene, di Dio, accende una luce nella nostra vita, una luce che il catechismo chiama la grazia santificante di figli nel Figlio per opera dello Spirito Santo fin dal Battesimo e quindi fratelli. Chi conserva, vive tale luce, chi vive nella grazia è santo. Ripetutamente l’immagine di santi è stata sottoposta a caricatura e presentata in modo distorto, come se essere santi significasse essere fuori dalla realtà attuale, ingenui e senza gioia. Non di rado si pensa che un santo cioè uno che punta a lasciarsi assimilare a Cristo che ascolta attraverso la Scrittura e incontra in persona nei Sacramenti  della Chiesa, l’Eucaristia della Domenica in particolare, sia soltanto colui che compie azioni ascetiche e morali di altissimo livello e quindi migliore degli altri e che perciò certamente si può venerare, ma mai imitare nella propria vita. Quanto è errata e scoraggiante questa opinione! Non esiste alcun santo, fuorché la beata Vergine Maria, che non abbia conosciuto anche il peccato e che non sia mai caduto. “Cari amici – Benedetto XVI ai giovani di Germania il 24 settembre 2011 – Cristo non si interessa tanto a quante volte nella vita vacilliamo e cadiamo, bensì a quante volte noi, con il suo aiuto, ci rialziamo. Non esige azioni straordinarie, ma vuole che la sua luce splenda in voi. Non vi chiama perché siete buoni e perfetti, ma perché Egli è buono e vuole rendervi suoi amici. Sì, voi siete la luce del mondo, perché Gesù è la vostra luce. Voi siete cristiani – non perché realizzate cose particolari e straordinarie – bensì perché Egli, Cristo, è la vostra, nostra vita. Voi siete santi, noi siamo santi, se lasciamo operare la sua Grazia in noi”. A fondamento della fede e di ogni testimonianza non c’è semplicemente e soprattutto un personaggio del passato da imitare, ma una persona vivente il Cristo da ascoltare e da incontrare in persona nel noi sacramentale della Chiesa.

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