Concilio Vaticano II
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Sia avvicina l’11 ottobre, cinquant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II. Sono stato ordinato il 29 giugno del 1960 in attesa della sua apertura da parte del Beato Giovanni XXIII. Non solo attesa ma anche preparazione guidando un gruppo liturgico finalizzato ad approfondire Il senso Teologico della liturgia, un testo di Vagaggini che quasi tutti i Padri avevano tra mano, dandoci il primo documento conciliare. Il servo di Dio Giuseppe Carraro che a Verona mi aveva ordinato, nel 1961 ci aveva portato a Castelgandolfo per un incontro con il Vicario di Cristo entusiasta per
questo momento forte nella vita della Chiesa: “Trasmettere pura ed integra la dottrina, senza alterazione o travisamenti (…) questa dottrina certa ed immutabile che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze dei nostri tempi”. Per noi giovani sacerdoti ciò a cui più tendevamo “presentata in modo che corrisponda alle esigenze dei nostri tempi” cioè presentare Gesù Cristo al mondo moderno in modo tale da venire accolto senza incrostazioni ecclesiali. Durante lo svolgersi del Concilio ho frequentato la Pontificia Università Teologica di Venegono dove Mons. Carlo Colombo, perito conciliare, ci faceva corsi, ricerche su richieste particolari di Paolo VI, soprattutto per la Dignitatis humanae sulla libertà religiosa. Dopo la conclusione l’8 dicembre del 1965, sempre mons. Giuseppe Carraro mi ha chiesto di commentare nella Domenica successiva i 16 documenti conciliari che consegnava alla diocesi di Verona. E anch’io venni coinvolto nel suo entusiasmo per questo avvenimento sia umano e sia soprannaturale perché lo stesso Spirito Santo guida la Chiesa con il magistero ordinario e con quello straordinario com’è l’assemblea di tutti i vescovi sotto la guida del Vescovo di Roma. La guida alla progressiva, piena comprensione dell’unica Verità rivelata vivente che è la persona di Gesù Cristo che rivela contemporaneamente chi è Dio, Padre che vuole tutti salvi come figli nel Figlio per opera dello Spirito santo e chi è ogni uomo, come fu inteso all’atto della creazione e a che cosa è destinato. Segretario e Direttore dello Studio Teologico e contemporaneamente segretario della sezione pastorale fui coinvolto nell’azione di tutta la diocesi nella presentazione e comprensione dei dettami conciliari nell’ascolto di ciò che lo Spirito Santo ha voluto dire alla Chiesa e attraverso la Chiesa al mondo contemporaneo. Ero ancora Rettore del Santuario della Madonna della Corona e c’era dibattito sul rapporto tra dogma (Padre Bonetti) ed esegesi (Padre Fedrizi). Mons. Carraro mi incaricò di incontrare Mons. Colombo per una direttiva conforme al Concilio. E proprio in quel momento a Venegono c’era il prof. Ratzinger: “Lui - mons. Colombo - ha portato un grosso contributo alla terza stesura della Dei Verbum, soprattutto il n. 12 che riguarda questo argomento”. Stetti con lui due ore, le più feconde della mia vita e che mi aiutarono quando nel 1968 a livello diocesano si è approfondita la Costituzione Sacrosanctum Concilium, nel 1969 la Lumen gentium, nel 1970 la Dei Verbum, nel 1971 la Gaudium et spes. È cresciuto sia tra i sacerdoti e sia a livello diocesano un dibattito positivo, indice di vitalità e di volontà di approfondimento, portato avanti dai professori dello Studio Teologico e dai 492 chierici, tanti erano nel 1969, comprendendo anche tutti i religiosi.
Il Concilio Vaticano II è stato, di fatto, il primo Concilio “mediatico” della storia, le cui fisiologiche dinamiche di confronto ed i cui testi sono stati immediatamente divulgati dai mezzi di comunicazione, non sempre cogliendone la reale portata e, non di rado, orientandone la comprensione. Quante volte mons. Carraro invitava all’attento ascolto di ciò che, realmente, lo Spirito Santo voleva dire all’intera Chiesa attraverso i Padri conciliari, aiutati ma non condizionati dai periti. Tale dinamica di approfondimento, tale “giusto atteggiamento” allora e oggi a cinquant’anni dall’inizio del Concilio si realizza attraverso la lettura diretta dei testi, dalla quale emerge l’autentico spirito del Concilio, la loro esatta collocazione all’interno dell’intera storia ecclesiale e la genesi redazionale. Garanzia dell’interpretazione post-conciliare del magistero straordinario è il magistero ordinario che ha favorito la corretta ricezione delle decisioni conciliari, ha chiarito il significato di determinate affermazioni (per esempio il passaggio, la discontinuità di linguaggio tra tolleranza religiosa e libertà religiosa) talvolta ha corretto interpretazioni unilaterali, o perfino errate. La garanzia del declinarsi della Tradizione è il magistero ordinario, che affonda le proprie radici nell’esplicita volontà divina, prepara i Concili Ecumenici, si attua in essi nella sua massima espressione straordinaria e, negli interventi successivi, ad essi obbedisce, favorendone la corretta ricezione. La continua e dinamica riforma nell’"ermeneutica della continuità" è l’unico corretto modo di leggere e interpretare ogni Concilio Ecumenico e, pertanto anche il ventunesimo dopo quello di Gerusalemme. La continuità vivente, dinamica dell’unico Corpo Ecclesiale, prima di essere un criterio ermeneutico, cioè di interpretazione dei testi, è una realtà teologica, che affonda le proprie radici nello stesso atto di fede, che ci fa professare: “Credo la Chiesa Una”. La Tradizione cioè la comunicazione della verità vivente è la coscienza della comunità che vive ora nell’incontro con il Cristo vivente la memoria di tutta la sua vicenda storica. In un intervento a dieci anni dal Concilio cioè nel 1975 a Vicenza mons. Carraro affermava che non è pensabile la posizione sia di chi vede nel Concilio Ecumenico Vaticano II un “nuovo inizio” della Chiesa e sia quella di chi vede la “vera Chiesa” solo prima di questo storico Concilio. Nessuno può arbitrariamente decidere se e quando inizi la “vera Chiesa”. Avviata eucaristicamente nell’Ultima Cena e sgorgata dal costato di Cristo, corroborata dall’effusione dello Spirito a Pentecoste, la Chiesa è Una e Unica, sino all consumazione della storia, e la comunione che in essa si realizza. Il 24 maggio 2012, nell’Udienza all’Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, Benedetto XVI ha definito “inaccettabile” l’ermeneutica della discontinuità.
Chi ha vissuto, negli anni della sua giovinezza anagrafica, l’entusiasmo legittimo dell’Assise conciliare, non disgiunto dal desiderio si superamento di non poche “incrostazioni”, che era necessario e urgente togliere dal volto della Chiesa, possa interpretare come pericolo di “tradimento” del Concilio ogni espressione che non condivida il medesimo “stato emotivo”. A mezzo secolo di quel straordinario evento ci si può confrontare e si possono condividere valutazioni su testi oggettivi. Mi accorgo anch’io di aver ridimensionato certe posizioni di allora nel gonfiare per entusiasmo certi ambiti particolari.
Con quale entusiasmo,data la centralità della Liturgia per la fede, si è accolto il giudizio che essa, pur non esaurendo tutta l’attività della Chiesa ne è “culmine e fonte” (SC 10). La riforma liturgica è l’elemento di maggiore visibilità della Chiesa stessa. Più volte il servo di Dio Paolo VI, il Beato Giovanni Paolo II e soprattutto Benedetto XVI hanno sottolineato l’importanza della Liturgia, come luogo nel quale si realizza pienamente lo stesso essere Chiesa, dove si realizza l’incontro con la persona viva di Gesù Cristo, fondamento della fede e di ogni testimonianza. Certamente non è la riforma della Sacrosantum Concilium una liturgia desacralizzata, o ridotta a "rappresentazione umana", in cui sfuma l’ontologia sacramentale cristologica e teologica. Ma nemmeno chi rifiuta la riforma conciliare, ritenendola un “tradimento” di una vagheggiata “vera Chiesa”.
Io ho goduto, allora e adesso, la valorizzazione di talune verità evangeliche come la felice sottolineatura della vocazione universale di tutti i battezzati alla santità. L’apertura verso i cristiani appartenenti ad altre confessioni, che ha fatto riemergere, in tutta la sua bellezza, il valore dell’unità, come necessario attributo della Chiesa e come dono gratuitamente offerto da Cristo, da accogliere sempre, attraverso la continua purificazione di coloro che a lui appartengono. Nello Studio teologico san Zeno abbiamo incaricato di presentare il documento conciliare addirittura a un pastore valdese Bertalot insieme a un professore cattolico. E inoltre l’importanza oggi della collegialità episcopale che manifesta la Chiesa come corpo unico. La stessa comprensione del Ministero Ordinato, a servizio del sacerdozio battesimale, che vede presbiteri e diaconi, intimamente uniti al proprio Vescovo, come espressione di sacramentale fraternità e comunione nel servizio della Chiesa e agli uomini.
Come il Concilio di Trento ci ha dato il Catechismo così il Concilio Vaticano II. Nell’incertezza di questo periodo storico e di questa società esso offre agli uomini del nostro tempo la certezza della fede completa della Chiesa. La chiarezza e la bellezza della fede cattolica sono ciò che rendono luminosa la vita dell’uomo anche oggi! In particolare se in quest’Anno della fede viene presentata da testimoni entusiasti ed entusiasmanti. D’altra parte la fede si rafforza sempre donandola!
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