Paolo VI e Benedetto XVI e il valore del Vaticano II
I papi Paolo VI e Benedetto XVI concordano nel proclamare davanti alla Chiesa il valore ela grazia del Concilio Vaticano II in un periodo nel quale tale evento viene oscurato da giudizi errati, da interpretazioni fuorvianti e anche dal rifiuto stesso della sua recezione.
Paolo VI l’ho ha fatto con il Credo del popolo di Dio, Benedetto XVI lo fa recepire con il Catechismo della Chiesa Cattolica in relazione con l’atto di fede personale e comunitariocelebrato, vissuto, pregato
“Per alcuni aspetti, il mio venerato Predecessore vide questo Anno (della fede) come una “conseguenza ed esigenza post conciliare” ben cosciente delle difficoltà del tempo, soprattutto riguardo alla professione della vera fede e alla sua retta interpretazione. Ho ritenuto che far iniziare l’Anno della fede in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II possa essere un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai Padri
conciliari, secondo le parole del beato Giovanni Paolo II, “non perdono il loro valore né il loro smalto. E’ necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del Magistero, all’interno della Tradizione della Chiesa…Sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre”. Io pure intendo ribadire con forza quanto ebbi ad affermare a proposito del Concilio pochi mesi dopo la mia elezione a Successore di Pietro: “se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa” (Benedetto XVI, Porta fidei, n.5).
“La stessa professione della fede è un atto personale ed insieme comunitario. E’ la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede. Nella fede della Comunità cristiana ognuno riceve il Battesimo, segno efficace dell’ingresso nel popolo dei credenti per ottenere la salvezza. Come attesta il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Io credo”; è la fede della Chiesa professata personalmente da ogni credente, soprattutto al momento del Battesimo. “Noi crediamo” è la fede della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in Concilio, o più generalmente, dall’assemblea liturgica dei fedeli” (Benedetto XVI, Porta fidei, n.10).
La fede della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in Concilio
Veramente il Concilio Vaticano II è colpito da fronti opposti: in questi cinquant’anni: alcuni lo hanno esaltato come fosse il Concilio per eccellenza e non in continuità dinamica con i 21° Concili, considerato come una specie di Costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova. I Padri conciliari non avevano certo un tale mandato; nessuno, del resto poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e ci è stata data fin dagli Apostoli affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna e, partendo da questa prospettiva, siamo in grado di illuminare anche la vita nel tempo e il temo stesso. I Vescovi, mediante il Sacramento, l’ontologia sacramentale che hanno ricevuto, sono fiduciari del dono del Signore, “amministratori dei misteri di Dio” (1 Cor 4,1): in un Concilio dinamica e fedeltà sono una cosa sola.
Il Concilio lo si colpisce anche con l’accusa di essere nei suoi stessi documenti (anche Lefebvre, però,ha votato sì tutti e sedici) inficiato di sostanziale discontinuità con la Tradizione di sempre cioè una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare. Peggio ancora chi asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del Concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l’unanimità, si è dovuto trascinarsi dietro e confermare molte cose vecchie e inutili. Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi rappresenterebbero il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e in conformità con essi bisognerebbe andare avanti. Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l’intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio. In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito argomentato da questo o quel padre, da questo o quel perito. In tal modo, ovviamente, rimane un vasto margine per ogni estrosità. Ma Benedetto XVI fin dal 22 dicembre 2005 ci ha dato il criterio interpretativo o ermeneutica conciliare del magistero:
“C’è l’”ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto – Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino”.
“Sin dall’inizio del suo Pontificato, Papa Benedetto XVI si è impegnato per una corretta comprensione del Concilio, respingendo come erronea la cosi detta “ermeneutica della discontinuità e della rottura” e promovendo quella che lui stesso ha denominato “l’ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto – Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino” (Congregazione per la Dottrina, Nota con indicazioni pastorali per l’Anno della Fede, 6 gennaio 2012). E in Porta fidei, al numero 4: “Nella data dell’11 ottobre 2012, ricorreranno anche i vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, testo promulgato dal mio Predecessore, il Beato papa Giovanni Paolo II, allo scopo di illustrare a tutti i fedeli la forza e la bellezza della fede. Questo documento è autentico frutto del Concilio Vaticano II”.
Il Credo del popolo di Dio e il catechismo della Chiesa Cattolica in connubio con l’atto personale e comunitario dell’incontro con Cristo
Una grande crisi di fede si manifesta in modo sinistro nell’immediato post concilio e in un crescendo drammatico si estende fino ad oggi tanto che in concistoro i cardinali hanno parlato di analfabetismo religioso catechetico. Sappiamo che il modernismo svuota la fede dei suoi contenuti oggettivi per ridurla a esperienza meramente soggettiva. In questa prospettiva di tratterebbe di un’adesione a Cristo ma non al suo pensiero, con una libera interpretazione del dogma, che differisce dalla continuità o Tradizione della Chiesa. Si pretende di stare idealmente con Cristo ma senza alcuna ontologia sacramentale, oggettiva della sua presenza. Si dice di seguirlo relativizzando i pilastri dell’adesione cioè i comandamenti, le leggi morali, la grammatica scritta dal Creatore nella sua creatura. Una fede così svuotata è una fede inesistente e ininfluente. Pretendere di credere senza aderire alle verità rivelate cioè al pensiero di Cristo è dissolvere la verità della fede cioè la realtà in tutti gli ambiti. Paolo VI ne ebbe lucida percezione e per questo si trovò nella necessità di offrirecon il suo magistero ordinario l’ermeneutica del Concilio Vaticano II e di concludere l’Anno della fede con la solenne Professione della fede del popolo di Dio (29 giugno 1968, ripetuta il 28 giugno del 1978), che ridonava la fede creduta in continuità o Tradizione della Chiesa. Nell’Omelia del 29 giugno in cui proclama solennemente la Professione di fede del popolo di Dio dice: “Nel far questo, Noi siamo coscienti dell’inquietudine che agita alcuni ambienti moderni in relazione alla fede. Essi non si sottraggono all’influsso di un mondo in profonda trasformazione, nel quale un così gran numero di certezze sono messe in contestazione o in discussione. Vediamo anche dei cattolici che si lasciano prendere da una specie di passione per i cambiamenti e le novità. Senza dubbio ha costantemente il dovere di proseguire nello sforzo di approfondire e presentare, in modo sempre più confacente alle generazioni che si succedono, gli imperscrutabili misteri di Dio, fecondi per tutti di frutti di salvezza. Ma al tempo stesso, pur nell’adempimento dell’indispensabile dovere di indagine, è necessario avere la massima cura di non intaccare gli insegnamenti della dottrina cristiana. Perché ciò vorrebbe dire . come purtroppo oggi spesso avviene – un generale turbamento e perplessità in molte anime fedeli…Non pensate di avere la fede senza aderire al contenuto della fede, al “Credo del popolo di Dio”, al simbolo della fede ( cioè alla sintesi schematica delle verità di fede). Non pensate di ravvivare la vita religiosa, o di avvicinare i lontani, minimizzando o deformando l’insegnamento preciso della Chiesa. Non crediate che la docile adesione a tale insegnamento mortifichi il pensiero, paralizzi la ricerca, chiuda le vie del sapere e del progresso cristiano.
Anche Benedetto XVI si trova davanti a un drammatico analfabetismo religioso, catechetico, addirittura al genocidio giovanile nella fede e nella morale. Ma lo affronta con la nota agostiniana distinzione tra la fede che è creduta, cioè l’aspetto oggettivo e la fede con la quale si giunge a credere: questa non è frutto di contenuti (dottrina, riti, comportamenti) rischiando, in polemica con il modernismo antioggettivo, di privilegiare unilateralmente l’aspetto oggettivo della fede, con la conseguenza inevitabile di una certa intellettualizzazione, ma all’inizio dell’esser cristiani – e quindi all’origine di ogni testimonianza di credenti – non c’è una decisione etica o una grande idea, mal’incontro con la Persone viva, sacramentalmente, ontologicamente presente, di Gesù Cristo “che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Deus caritas est, 1). Atto soggettivo, personale di fede e atto comunitario, oggettivo attraverso il Catechismo sono le due dighe che possono contrastare il relativismo dogmatico, magisteriale, sacramentale, morale che attualmente sta investendo la Chiesa provocando a livello educativo un genocidio giovanile, unaemergenza.
“Come si può osservare, la conoscenza dei contenuti di fede è essenziale per dare il proprio assenso, cioè per aderire pienamente con l’intelligenza e la volontà a quanto viene proposto dalla Chiesa. La conoscenza della fede introduce alla totalità del mistero salvifico rivelato da Dio. L’assenso che viene prestato implica quindi che, quando si crede, si accetta liberamente tutto il mistero della fede, perché garante della sua verità è Dio che si rivela e permette di conoscere il suo mistero di amore” (Benedetto XVI, Porta fidei, n.10).
L’atto personale e comunitario di fede professato attraverso il Catechismo, celebrato nella liturgia, vissuto e pregato realizzano in modo completo, soggettivo e oggettivo, le parole del Signore: “Questa è l’opera di Dio: credere in Colui che egli ha mandato (Gv 6,29).
“Per accedere a una conoscenza sistematica dei contenuti della fede, tutti possono trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolica un sussidio prezioso e indispensabile. Esso costituisce uno dei frutti più importanti del Concilio Vaticano II. Nella Costituzione Apostolica fidei depositum, non a caso firmata nella ricorrenza del trentesimo anniversario dell’Apertura del Concilio Vaticano II, il beato Giovanni Paolo II scriveva: “Questo Catechismo apporterà un contributo molto importante a quell’opera di rinnovamento dell’intera vita ecclesiale…Io lo riconosco come uno strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale e come una norma sicura per l’insegnamento della fede”. E’ proprio in questo orizzonte che l’Anno della fede dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica e organica. Qui, infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito e offerto nei suoi duemila anni di storia. Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il catechismo offre una memoria permanente di tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede. Nella sua stessa struttura il catechismo della Chiesa Cattolica presenta lo sviluppo della fede fino a toccare i grandi temi della vita quotidiana. Pagina dopo pagina si scopre che quanto viene presentato non è una teoria, ma l’incontro con una persona che vive nella Chiesa. Alla professione, infatti, segue la spiegazione della vita sacramentale nella quale Cristo è presente, operante e continua a costruire la sua Chiesa. Senza la liturgia e i sacramenti, la professione di fede non avrebbe efficacia, perché mancherebbe della grazia che sostiene la testimonianza dei credenti. Alla stessa stregua, l’insegnamento del catechismo sulla vita morale acquista tutto il suo significato se posto in relazione con la fede, la liturgia e la preghiera” ( Benedetto XVI, Porta fidei, 10).
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