Il magistero ordinario e universale è infallibile
Il magistero ordinario e universale è infallibile: papa e vescovi sono quindi infallibili in ciò che essi insieme e unanimemente annunciano quale dottrina di fede
Quelle verità supreme, che il cristianesimo vive e comunica, sono nell’ontologia sacramentale della Chiesa, dove continua il mistero dell’Incarnazione: “come la natura assunta – LG 8,1 – serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a Lui indissolubilmente unito, così in modo non dissimile l’organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del Corpo”. La Chiesa non deve essere né identificata né separata dal Signore risorto, ma unita a Lui che, in essa è
presente e operante sacramentalmente, ed attraverso essa porta in continuità dinamica o Tradizione, via umana alla verità e alla Vita, ogni uomo alla verità cioè all’incontro con la persona viva del Risorto: né identica, né separata ma unita nella distinzione. Proprio come lo sono due sposi (Ef 5,25-31): complementari nella loro diversità. Ma come far accadere l’avvenimento dell’incontro con la presenza ecclesiale della persona del Risorto presente “in ogni qui e ora” cioè come evangelizzare, come la nuova evangelizzazione in paesi post-cristiani? Vivendo dentro il noi dell’organismo sociale della Chiesa si arriva a quella certezza e chiarezza della verità cioè della persona viva di Cristo, di cui ogni uomo ha bisogno per affrontare la vita, per essere libero dalla schiavitù dell’ignoranza di non sapere da dove viene, a cosa è destinato, chi è, chi lo libera dalla sofferenza e dalla morte, se c’è un al di là anche per il corpo.
Il primo modo di quella comunicazione vera, della nuova evangelizzazione, che Cristo è venuto a portare nel mondo avviene per la stessa fedeltà alla vita della comunità ecclesiale: questo modo è sicuro, infallibile attraverso la fedeltà al magistero ordinario e universale.
Ogni cristiano arriva alle verità divine proposte dalla Chiesa per una via ordinaria, che è la vita stessa della comunità. La condizione è che essa sia veramente ecclesiale, cioè unita al Vescovo, unito al Vescovo di Roma, il Papa. Ecco la sorgente normale d’una conoscenza ultima sicura; non studio teologico o esegesi biblica –utili strumenti in mano all’autorità che guida -, ma le articolazioni della vita comune della Chiesa legata al magistero del Papa e dei Vescovi in comunione con lui: le encicliche o i discorsi del Papa, i Catechismi, i documenti e le lettere del Vescovo alla sua diocesi, in quanto unito alla pastorale del Pontefice, o i documenti di una comunità in quanto implicitamente approvati dal Vescovo. Il loro annuncio, la loro predicazione intende dire ad ogni uomo chi è, e che cosa deve fare per divenire quello che è e a cui è destinato cioè la verità di se stesso, e ciò per cui egli può vivere, e morire. La vita è una realtà irrepetibile, a cui è legato un destino eterno. Ma come potrebbe la Chiesa, anche nell’incertezza di questo periodo storico e di questa società, offrire la certezza della fede completa della Chiesa, la chiarezza e la bellezza della fede cattolica che rendono luminosa la vita dell’uomo anche oggi se la sintesi organica e sistematica del magistero straordinario del Papa e dei 21 Concili, del magistero ordinario e universale di due mila anni non fosse vincolante anche per i teologi? L’essenza del magistero consiste proprio nel fatto che l’annuncio della fede è criterio valido anche per la teologia. L’affermazione che la Chiesa con il suo ministero pastorale è abilitata all’annuncio e non all’insegnamento della teologia scientifica è certamente corretta. Ma il ministero dell’annuncio cioè il magistero ordinario e universale, oggi con il Catechismo e il suo Compendio, si impongono anche per la teologia. Se il magistero è la garanzia del declinarsi della comunità in quanto vive, lo strumento più grande della comunicazione del vero nella vita della Chiesa è la sua stessa continuità viva, dinamica. Si chiama Tradizione. La tradizione è la coscienza della comunità che vive ora, ricca della memoria di tutta la sua vicenda storica. L’idea della Tradizione, richiamata dalla Dei Verbum e dalla Verbum Domini, deriva dalla Rivelazione poiché esiste un’unica rivelazione di Dio in Gesù Cristo affidata alla Chiesa: tutto ciò che la Chiesa ha ricevuto nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto; non si tratta dunque soltanto di una ‘tradizione orale’, ma di una tradizione concreta e vivente, che fruttifica durante il tempo, così che conservando la verità rivelata, essa la attualizza secondo i bisogni di ogni epoca, fino ad oggi. La Tradizione è sempre ricordata prima della Scrittura, per rispettare l’ordine cronologico, dal momento che, all’origine di tutto, c’è questa Tradizione che viene dagli Apostoli, ed è all’interno di una comunità già costituita che i libri santi sono stati composti o ricevuti. L’unità di ogni cristiano con la tradizione è una delle grandi controprove della sua autenticità religiosa: Egli dovrebbe essere appassionato di quella vita e di quell’insegnamento che percorre i secoli da duemila anni, e fiero di essere l’erede di una tale tradizione. L’importanza della tradizione è decisiva, perché se la tradizione ci viene attraverso la vita della comunità, essendo quest’ultima il tramandare della presenza sacramentale del Risorto nella storia, quanto adesso insegna non può essere in contrasto rispetto a quanto insegnava mille anni fa, non può essere, come annuncio di verità, come significati ultimi – non necessariamente come forme rituali –una decadenza del suo primitivo messaggio apostolico. “Se consideriamo la serie dei secoli lungo i quali il cattolicesimo si è conservato, la severità delle prove che ha affrontato, i mutamenti improvvisi e prodigiosi che lo hanno colpito sia dall’esterno che nel suo interno, l’incessante attività mentale e i doni dell’intelligenza dei suoi membri, l’entusiasmo che ha acceso, il furore delle lotte che sono insorte tra i suoi fedeli, la violenza degli assalti di cui ha subito l’urto, le responsabilità sempre crescenti che ha dovuto assumersi…., è del tutto inconcepibile che non sia andato in pezzi e in rovina, se fosse una corruzione del cristianesimo…Se la lunga serie dei suoi sviluppi fosse una sequela di corruzioni, avremmo l’esempio di un errore continuato così nuovo, così inspiegabile, così preternaturale da parere quasi un miracolo e da rivaleggiare con quelle manifestazioni della Potenza divina che costituiscono la prova del cristianesimo. Talvolta guardiamo con stupore e sbigottimento al grado di dolore che il corpo umano riesce a sopportare senza soccombere. Ma a lungo andare tutto questo ha un termine. Le febbri hanno il loro punto critico, dopo il quale viene la morte o la salute. Ma questa corruzione, sé una corruzione, che avrebbe ormai mille anni, non ha mai cessato di svilupparsi, andando vicino alla morte, ma senza mai esserne colpita e i suoi eccessi, invece di indebolirla, l’hanno resa più forte” (John H. Newman, Lo sviluppo della dottrina cristiana, pp. 461 – 462). Una filosofia, la cultura, una ideologia storicamente non riesce a mantenersi coerente alla sua origine se non, al massimo, per una generazione. Ora, la Chiesa con il suo continuo magistero ordinario e contingentemente straordinario millenari non si è mai contraddetta e con fede è sicura di non contraddirsi mai: tale sfida è un miracolo che documenta la ragionevolezza della fede!
Il magistero ordinario e universale – attingo da don Enrico Finotti Concilio Vaticano II 50 anni dopo pp.46-49 – non deve essere inteso come la somma numerica degli atti magisteriali dei singoli Vescovi e dei vari raggruppamenti episcopali dispersi nel mondo, quanto piuttosto l’insegnamento dell’intero Collegio episcopale checum Petro e sub Petro, proclama costantemente ciò che semper et ubique fu creduto e crede l’universale popolo di Dio oggi organicamente e sistematicamente espresso nel Catechismo della Chiesa Cattolica e nel suo Compendio. Tale magistero è esercitato con sollecitudine quotidiana sia dal Papa da solo, sia dal Collegio episcopale riunito in Concilio o anche disperso nel mondo, ma unito da vincoli della communio hierarchica col Capo e col Corpo. Questo è un linguaggio dogmatico da esprimere anche con espressioni più attuali, ma perennemente valido. Nella misura in cui il singolo vescovo o una conferenza episcopale si uniformano a tale magistero concorrono a dar voce, con autorità propria, all’unico magistero ordinario e universale, infallibile della Chiesa. In questa luce può accadere che singoli vescovi o anche gruppi considerevoli di essi possano uscire dall’ortodossia e dalla comunione, mentre il magistero ordinario e universale infallibile potrebbe essere fedelmente esercitato da un numero esiguo di vescovi, come si verificò in tempi difficili della vita della Chiesa (es. nella crisi ariana).
Oggi si constata che il magistero ordinario e universale infallibile subisca una marginalizzazione nel dibattito teologico ed esegetico. Si assiste a una specie di cortocircuito che passa immediatamente dal magistero solenne definitorio al magistero semplicemente autentico senza considerare sufficientemente il possibile valore infallibile di asserti di fede proclamati costantemente dal magistero ordinario e universale come per l’ammissione delle donne al ministero sacerdotale. In tal modo, mentre si riconoscono i dogmi esplicitamente definiti, si ritiene totalmente opinabile ogni insegnamento proclamato nella forma del magistero ordinario e universale cioè in continuità nella dottrina della Chiesa. In questo orizzonte si arriva a considerare del tutto discutibili le stesse Costituzioni dogmatiche del Vaticano II, essendo prive di dichiarazioni definitorie solenni ed esplicite. Così l’arbitrio dei teologi e degli esegeti si troverebbe a briglie sciolte per un’interpretazione e una ricerca in senso modernista o un ristagno sui venti Concili rifiutando il Concilio Vaticano II. Il Vaticano II viene accolto come un atto di magistero autentico certamente, ma non vincolante e quindi discutibile in ogni sua parte anche dottrinale, invocando interventi straordinari da parte del Papa per chiarire.
Mentre il Vaticano I aveva assunto il termine teologico di magistero ordinario e universale dichiarando che tale magistero poteva essere rivestito del carattere infallibile e quindi proclamare da secoli dottrine definitive (Dei Filius 3), il Vaticano II non riporta il termine preciso di magistero ordinario e universale e sul suo esercizio infallibile si esprime in modo più implicito, insistendo piuttosto sul magistero straordinario, solenne -.il Papa, sia nella formulazione personale ex cathedra sia nell’evento del Concilio che non potrebbe essere valido senza l’approvazione del Pontefice – come organo dotato sicuramente della infallibilità (Lumen gentium 25). Il Vaticano II viene tuttavia supportato dal successivo Codice di diritto canonico ( Can. 750 §1) e dal Catechismo della Chiesa Cattolica (Compendio 185) che riprendono il termine magistero ordinario e universale e richiamano il valore infallibile di una dottrina espressa con tale forma di magistero. Se la sostanza di importanti asserti dottrinali insegnati con autorità e determinazione nelle costituzioni dogmatiche del Vaticano II, anche senza dichiarazioni definitorie solenni ed esplicite, fosse ritenuta ancora insicura e opinabile, l’insegnamento del Concilio nei suoi documenti rischierebbe di essere una pia esortazione, certamente fatta dal supremo magistero della Chiesa ma non diversa nel suo grado di autorità da una esposizione catechistica sulla quale si potrebbe intraprendere una revisione con totale libertà, vantata da chi si rifà allo spirito del Concilio e non ai documenti magisteriali. Ma con questa visione precaria delle dottrine proclamate dal magistero del Vaticano II non si avrebbe più una base certa e sicura sulla quale procedere nell’indagine e nello sviluppo legittimo della teologia: tutto sarebbe da ripensare e logicamente non potranno che aumentare le richieste di sicurezza dottrinale auspicando nuove definizioni dogmatiche. E’ questa la situazione che stiamo vivendo nel panorama teologico odierno: da un lato il plauso all’indeterminatezza delle dottrine del Concilio per salvare una libertà il più possibile ampia per una nuova e talvolta audace indagine, dall’altro la paralisi dello sviluppo teologico, fissata su definizioni pregresse al Concilio, che diffida delle ‘nuove dottrine conciliari’ prive di caratteredefinitorio e attende dal magistero interventi risolutori.
E’ su questa base che nel post concilio si è prodotto una specie di minimalismo magisteriale che insidia la garanzia del declinarsi della comunità provocando dubbi e incertezze anche in aspetti dottrinali definitivi e nella loro sostanza di per sé irreformabili come certe dichiarazioni riguardo all’ammissione delle donne al sacramento dell’Ordine. Tutto ciò che non può dimostrare di essere de fide definita, subisce la revisione e la critica ed è ancora ritenuto discutibile in quanto opinabile. In una simile prospettiva cresce sempre più un’insistente richiesta al Papa affinché proceda con atti definitori solenni, come unica via per uscire dall’incertezza dottrinale ed esigere un assenso assoluto. In quest’ottica anche le stesse Costituzioni dogmatiche del Vaticano II sono ritenute del tutto discutibili in ogni loro parte, non potendo esibire asserti formalmente definiti in modo esplicito e solenne: così si dimentica la forma ordinaria dell’annunzio infallibile della fede, la quale è precedente a ogni specifica definizione eccezionale come formulazione. Le definizioni dogmatiche, infatti, non sono primarie nell’ordine storico, né in quello teologico, né in quello pastorale, in quanto la storia, la riflessione teologica e la vita pastorale della Chiesa precedono la definizione dogmatica, anche se, una volta proclamata,guida in modo irreversibile la storia, la teologia e la pastorale. Come è pastoralmente attuale la direttiva del Papa ai Vescovi austriaci: “Utilizzate, per favore, con zelo il Compendio e il Catechismo della Chiesa Cattolica! Fate in modo che i sacerdoti e i catechisti adottino questi strumenti, che vengano spiegati nelle parrocchie, nelle unioni e nei movimenti e che vengano utilizzati nelle famiglie come importanti letture! Nell’incertezza di questo periodo storico e di questa società, offrite agli uomini la certezza della fede completa della Chiesa! La chiarezza e la bellezza della fede cattolica sono ciò che rendono luminosa la vita dell’uomo anche oggi! Questo in particolare se viene presentata da testimoni entusiasti ed entusiasmanti!”
Che il Catechismo (e il compendio) sia espressione sistematica del magistero ordinario (universale), è certo falso. In primo luogo, perché contiene affermazioni che sono anche al di fuori della fede e della morale, come affermazioni sul monogenismo, una teoria che chiunque conosca un minimo di biologia sa essere falsa per ragioni empiriche che sono davanti agli occhi di tutti, mentre il magistero universale infallibile riguarda materia di fede e morale. In secondo luogo, perché il catechismo contiene insegnamenti riformabili, come quello sulla pena di morte che è stato appunto riformato, mentre il magistero universale è irreformabile. In terzo luogo, perché vari teologi, tipo Maurizio Pietro Faggioni OFM, inserisce nel magistero ordinario infallibile (universale) anche le canonizzazioni, ma il catechismo ovviamente non contiene un martirologio. Sinceramente, non ho mai trovato un teologo che sapesse dirmi quale sarebbe esattamente il contenuto di questo magistero universale. Secondo molti l'ammissibilità della pena di morte, oggettivamente insegnata sempre e costantemente dalla Chiesa, era magistero universale. Oggi sappiamo che non è così, essendo stato riformato l'insegnamento. Secondo alcuni la Ordimatio Sacerdotalis si inserisce correttamente nel magistero ordinario universale. Un sondaggio nell'associazione dei teologi cattolici americani ha rivelato però che la *maggioranza* dei teologi di professione crede invece che sia un errore, che il pontefice non sia riuscito a individuare correttamente un magistero universale, e quindi che la sua espressione sia rimasta solo autentica. Insomma, sappiamo che questo magistero universale esiste, ma cosa contenga esattamente non lo sa nessuno, è una cosa che eventualmente si potrà rivelare solo tramite una profonda ermeneutica della storia della dottrina, la quale però è cosa scientifica e non teologica.
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