Credenti di fronte al terremoto
Il nostro atteggiamento interiore di fede di fronte allo sconvolgimento della natura: un atteggiamento di grande sicurezza, basata sulla roccia stabile, irremovibile che è Dio
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“ Noi “non temiamo se trema la terra” – dice il salmista (46, 2-3) – perché “Dio è per noi rifugio e fortezza”, è “aiuto infallibile nelle angosce”.
Cari fratelli e sorelle, queste parole sembrano in contrasto con la paura che inevitabilmente si prova dopo un’esperienza come quella che voi avete vissuto. Una reazione immediata, che può imprimersi più profondamente, se il fenomeno si prolunga. Ma, in realtà, il Salmo non si riferisce a questo tipo di paura, che è naturale, e la sicurezza che afferma non è quella di super – uomini che non sono toccati da sentimenti normali. La sicurezza di cui parla è quella della fede, per cui, si, ci può essere la paura, l’angoscia – le ha provate anche Gesù, come sappiamo – ma c’è, in tutta la paura e l’angoscia, soprattutto la certezza che Dio è con noi; come il bambino che sa sempre di poter contare sulla mamma e il papà, perché si sente amato, voluto, qualunque cosa
accada. Così siamo noi rispetto a Dio: piccoli, fragili, ma sicuri nelle sue mani, cioè affidati al suo Amore che è solido come una roccia. Questo Amore noi lo vediamo in Cristo Crocifisso, che è il segno al tempo stesso del dolore, della sofferenza, e dell’Amore. E’ la rivelazione di Dio Amore, solidale con noi fino all’estrema umiliazione.
Su questa roccia, con questa ferma speranza, si può costruire, si può ricostruire. Sulle macerie del dopoguerra – non solamente materiali – l’Italia è stata ricostruita certamente grazie anche ad aiuti ricevuti, ma soprattutto grazie alla fede di tanta gente animata da spirito di vera solidarietà, dalla volontà di dare un futuro alle famiglie, un futuro di libertà e di pace. Voi siete gente che tutti gli italiani stimano per la vostra umanità e socievolezza, per la laboriosità unita alla giovialità. Tutto ciò è ora messo a dura prova da questa situazione, ma essa non può intaccare quello che voi siete come popolo, la vostra storia e la vostra cultura. Rimanete fedeli alla vostra vocazione di gente fraterna e solidale, e affronterete ogni cosa con pazienza e determinazione, respingendo le tentazioni che purtroppo sono connesse a questi momenti di debolezza e di bisogno.
La situazione che state vivendo ha messo in luce un aspetto che vorrei fosse ben presente nel vostro cuore: non siete e non sarete soli! In questi giorni, in mezzo a tanta distruzione e tanto dolore, voi avete visto e sentito come tanta gente si è mossa per esprimervi vicinanza, solidarietà, affetto; e questo attraverso tanti segni e aiuti concreti. La mia presenza in mezzo a voi vuole essere uno di questi segni di amore e di speranza. Guardando le vostre terre ho provato profonda commozione davanti a tante ferite, ma ho visto tante mani che le vogliono curare insieme a noi; ho visto che la vita ricomincia, vuole ricominciare con forza e coraggio, e questo è il segno più bello e luminoso.
Da questo luogo vorrei lanciare un forte appello alle istituzioni, ad ogni cittadino ad essere, pur nelle difficoltà del momento, come il buon Samaritano del Vangelo che non passa indifferente davanti a chi è nel bisogno, ma, con amore, si china, soccorre, rimane accanto, facendosi carico fino in fondo delle necessità dell’altro (Lc 10,29-37). La Chiesa vi è vicina e vi sarà vicina con la sua preghiera e con l’aiuto concreto delle sue organizzazioni, in particolare della Caritas, che si impegnerà anche nella ricostruzione del tessuto comunitario delle parrocchie.
Cari amici, vi benedico tutti e ciascuno, e vi porto con grande affetto nel cuore” (Benedetto XVI, Visita alle zone terremotate dell’Emilia Romagna, 26 giugno 2012).
Di fronte alla constatazione di una terribile precarietà come il terremoti il Santo Padre ha fatto leva sulla “forza dei vostri cuori, che non hanno crepe, ma sono profondamente uniti nella fede e nella speranza”. Ormai siamo di fronte a scenari che descrivono cambiamenti epocali, che suscitano apprensione, angoscia e paura. In queste situazioni, ciò che si avverte è il bisogno di una visione, che ci permetta di guardare al domani con gli occhi della speranza, senza le lacrime della disperazione. Come Chiesa che guarda alla creazione in atto e agli sconvolgimenti della natura come le doglie del parto verso cieli nuovi e terra nuova, abbiamo già questa visione. E’ il Regno che viene, che ci è stato annunciato da Gesù Cristo nelle sue parabole, da affrontare con solidarietà reciproca. E’ il Regno che è già cominciato con un Dio che possiede un volto umano, sempre tra noi con la sua morte e risurrezione. Tuttavia, c’è l’impressione di non riuscire a dare concretezza, a fare nostro questo orizzonte nuovo che l’incontro con la Persona viva di Cristo che suscita la fede, di non riuscire a renderla parola viva per noi e i nostri contemporanei. Occorre, come richiesto dal Concilio Vaticano II, una “nuova evangelizzazione”, cioè nuova proclamazione del messaggio di Gesù, che infonda gioia in tutte le tribolazione e ci libera dal terrore della precarietà.
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