La verità ci viene incontro nella fede
Con tutto il sapere e tutte le capacità, che pure sono necessari, non dobbiamo perdere il cuore semplice, lo sguardo semplice del cuore, capace di vedere l’essenziale
“Nel giorno del mio compleanno e del mio Battesimo, il 16 aprile, la liturgia della Chiesa ha posto tre segnavia che mi indicano dove porta la strada e che mi aiutano a trovarla. In primo luogo c’è la memoria di santa Bernadette, la veggente di Lourdes; poi, c’è uno dei Santi più popolari della storia della Chiesa, Benedetto Giuseppe Labre; e poi, soprattutto, c’è il fatto che questo giorno è sempre immerso nel Mistero pasquale, nel Mistero della Croce e della Risurrezione, e nell’anno della mia nascita è stato espresso in modo particolare: era il Sabato Santo, il giorno del silenzio di
Dio, dell’apparente assenza, della morte di Dio, ma anche il giorno nel quale si annunciava la Risurrezione…
Bernadette sapeva vedere, con il cuore puro e genuino. E Maria le indica la sorgente: lei può scoprire la sorgente, acqua viva, pura, incontaminata; acqua che è vita, acqua che dona purezza e salute. E attraverso i secoli, ormai, quest’acqua viva è un segno da parte di Maria, un segno che indica dove si trovano le sorgenti della vita, dove possiamo purificarci, dove troviamo ciò che è incontaminato. In questo nostro tempo, in cui vediamo il mondo in tanto affanno, e in cui prorompe la necessità dell’acqua pura, questo segno è tanto più grande. Da Maria, dalla Madre del Signore, dal cuore puro viene l’acqua pura, genuina che dà la vita, l’acqua che in questo secolo – e nei secoli che possono venire – ci purifica e ci guarisce.
Penso che possiamo considerare quest’acqua come immagine della verità che ci viene incontro nella fede: la verità non simulata, ma incontaminata. Infatti, per poter vivere, per poter diventare puri, abbiamo bisogno che ci sia in noi la nostalgia della vita pura, della verità non travisata, di ciò che non è contaminato dalla corruzione, dall’essere uomini senza macchia. Ecco che questo giorno, questa piccola Santa è sempre stata per me un segno che mi ha indicato da dove proviene l’acqua viva di cui abbiamo bisogno – l’acqua che ci purifica e che dà la vita -, e un segno di come dovremmo essere: con tutto il sapere e tutte le capacità, che pure sono necessari, non dobbiamo perdere il cuore semplice, lo sguardo semplice del cuore, capace di vedere l’essenziale, e dobbiamo sempre pregare il Signore affinché conserviamo in noi l’umiltà che consente al cuore di rimanere chiaroveggente – di vedere ciò che è semplice ed essenziale, la bellezza e la bontà di Dio – e di trovare così la sorgente dalla quale viene l’acqua che dona la vita e purifica.
Poi c’è Benedetto Giuseppe Labre, il pio pellegrino mendicante del XVII secolo, che dopo diversi tentativi inutili, trova finalmente la sua vocazione come mendicante, senza niente, senza alcun appoggio e non tenendo per sé nulla di quel che riceveva se non ciò di cui aveva assolutamente bisogno – pellegrinare attraverso tutta l’Europa, a tutti i santuari dell’Europa, dalla Spagna fino alla Polonia e dalla Germania fino alla Sicilia: un Santo veramente europeo” Possiamo anche dire: un Santo un po’ particolare, mendicando, vagabonda da un santuario all’altro e non vuol fare che pregare e con ciò rendere testimonianza a quello che conta nella vita: Dio. Certo, non rappresenta un esempio da emulare, ma è un segnavia, un dito teso verso l’essenziale. Egli ci mostra che Dio da solo basta; che al di là di tutto ciò che può esserci in questo mondo, al di là delle nostre necessità e capacità, quello che conta, l’essenziale è conoscere Dio. Egli da solo basta. E questo “solo Dio”, egli lo indica in modo drammatico. E al tempo stesso, questa vita realmente europea che, da santuario a santuario, abbraccia l’intero Continente europeo rende evidente che colui che si apre a Dio non si estranea dal mondo e dagli uomini, bensì trova fratelli, perché da parte di Dio cadono le frontiere, solo Dio può eliminare le frontiere perché grazie a Lui siamo tutti solo fratelli, facciamo parte gli uni degli altri; rende presente che l’unicità di Dio significa, al contempo, la fratellanza e la riconciliazione degli uomini, l’abbattimento delle frontiere che ci unisce e ci guarisce. Così egli è il Santo della pace proprio in quanto è un Santo senza alcuna esigenza, che muore povero di tutto eppure benedetto in ogni cosa.
E poi, infine, c’è il Mistero Pasquale. Nello stesso giorno in cui sono nato, grazie alla premura dei miei genitori, sono anche rinato dall’acqua e dallo Spirito, come abbiamo appena ascoltato nel Vangelo. In primo luogo, c’è il dono della vita che i miei genitori mi hanno fatto in tempi molto difficili, e per il quale li devo ringraziare. Ma non è scontato che la vita dell’uomo in sé sia un dono. Può veramente essere un bel dono? Sappiamo che cosa incombe sull’uomo nei tempi bui che si troverà davanti – anche in quelli più luminosi che potranno venire? Possiamo prevedere a quali affanni, a quali terribili eventi potrà essere esposto? E’ giusto dare la vita così, semplicemente? E’ responsabile o è troppo incerto? E’ un dono problematico, se rimane a se stante. La vita biologica di per sé è un dono, eppure è circondata da una grande domanda. Diventa un vero dono solo se, insieme ad essa, si può dare una promessa che è più forte di qualunque sventura che ci possa minacciare, se essa viene immersa in una forza che garantisce che è un bene essere uomo, che per questa persona è un bene qualsiasi cosa possa portare il futuro. Così, alla nascita va associata la rinascita, la certezza che, in verità, è un bene esserci, perché la promessa è più forte delle minacce.Questo è il senso della rinascita dall’acqua e dallo Spirito: essere immersi nella promessa che solo Dio può fare: è bene che tu ci sia, e ne puoi essere certo, qualsiasi cosa accada. Da questa certezza ho potuto vivere, rinato dall’acqua e dallo Spirito. Nicodemo chiede al Signore: “Un vecchio può forse rinascere?”. Ora la rinascita ci è donata nel Battesimo, ma noi dobbiamo continuamente crescere in essa, dobbiamo sempre di nuovo lasciarci immergere da Dio nella sua promessa, per essere veramente rinati nella grande , nuova famiglia di Dio che è più forte di tutte le debolezze e di tutte le potenze negative che ci minacciano. Perciò questo è un girono di grande ringraziamento.
Il giorno in cui sono stato battezzato, come ho detto, era Sabato Santo. Allora si usava ancora anticipare la Veglia Pasquale nella mattinata, alla quale sarebbe seguito ancora il buio del Sabato Santo, senza l’Alleluia. Mi sembra che questo singolare paradosso, questa singolare anticipazione della luce in un girono oscuro, possa essere quasi un’immagine della storia dei nostri giorni. Da un lato, c’è ancora il silenzio di Dio e la sua assenza, ma nella Risurrezione di Cristo già c’è l’anticipazione del “sì” di Dio, e in base a questa anticipazione noi viviamo e, attraverso il silenzio di Dio, sentiamo il suo parlare, e attraverso il buio della sua assenza intravvediamo la sua luce.L’anticipazione della Risurrezione nel mezzo di una storia che si evolve è la forza che ci indica la strada e che ci aiuta ad andare avanti” (Benedetto XVI, Santa Messa in occasione dell’85° genetliaco,16 aprile 2012).
Questa Omelia è un auto riconoscimento, da parte di Benedetto XVI del dono della propria vita: “mi trovo di fronte all’ultimo tratto del percorso della mia vita e non so cosa mi aspetta. So, però, che la luce di Dio c’è, che Egli è risorto, che la sua luce è più forte di ogni oscurità; che la bontà di Dio è più forte di ogni male di questo mondo. E questo mi aiuta a procedere con sicurezza. Questo aiuta noi ad andare avanti, e in questa ora ringrazio di cuore tutti coloro che continuamente mi fanno percepire il “sì” di Dio attraverso la loro fede”. E tra tutti ci siamo anche noi.
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