Reincontrare Cristo‏

L’urgenza di far reincontrare Cristo cioè Nuova Evangelizzazione con tutti coloro che già fanno parte della comunità della Chiesa, che di fatto se ne sono allontanati

Già Paolo VI, nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (1975) aveva ben presenti le nuove istanze di quella che oggi chiamiamo Nuova Evangelizzazione: “Questa fede è quasi sempre, oggi, posta a confronto col secolarismo, anzi con l’ateismo militante: è una fede esposta alle prove e minacciata; di più, una fede assediata e combattuta. Essa rischia di perire per asfissia o per inedia se non è continuamente alimentata e sostenuta. Evangelizzare comporta dunque, molto spesso, comunicare alla fede dei credenti – particolarmente mediante una catechesi piena di linfa evangelica e corredata da un linguaggio adatto ai tempi e alle persone – questo necessario alimento e questo sostentamento” (n. 54), Parlando di “secolarismo”, Paolo VI intendeva “una concezione del mondo,
nella quale questo si spiega da sé, senza che ci sia bisogno di ricorrere a Dio, divenuto in tal modo superfluo e ingombrante. Un simile secolarismo, per riconoscere il potere dell’uomo, finisce dunque col fare a meno di Dio ed anche col negarlo”. E le conseguenze di  questo secolarismo ateo – “un ateismo antropocentrico, non più astratto e metafisico ma pragmatico, programmatico e militante” (n. 55) -  gli apparivano ben visibili nella vita quotidiana sotto svariate forme. Ma oltre la sfera dei non credenti, non meno preoccupante per Paolo VI era la sfera dei non praticanti, “oggi un numero di battezzati che, in larga misura, non hanno rinnegato formalmente il loro battesimo, ma ne sono completamente al margine, e non lo vivono” (n. 55).  Da qui la sua acuta consapevolezza che l’azione evangelizzatrice della Chiesa non poteva ignorare questa situazione e doveva, senza trascurare l’annuncio del Vangelo “alle genti”, tentare di porvi rimedio con quella che oggi viene appunto chiamata la “nuova evangelizzazione”.
Così il Beato Giovanni Paolo II in Christi fideles laici (1988), parlando di una “nuova evangelizzazione” riferendola sia ai metodi e ai linguaggi di comunicazione dell’annuncio evangelico ad gentes, sia, più specificamente “alla persistente diffusione dell’indifferentismo religioso e dell’ateismo nelle sue più diverse forme, in particolare nella forma oggi più diffusa, del secolarismo”. Un fenomeno di vaste proporzioni e di particolare gravità, visto che non si stava manifestando soltanto a livello di singoli individui, ma di intere comunità: “Interi paesi e nazioni, dove la religione e la vita cristiana erano un tempo quanto mai fiorenti e capaci di dar origine a comunità di fede viva e operosa, sono ora messi a dura prova, e talvolta sono persino radicalmente trasformati, dal continuo diffondersi dell’indifferentismo, del secolarismo e dell’ateismo. Si tratta, in particolare, dei paesi e delle nazioni del così detto Primo Mondo, nel quale il benessere economico e il consumismo…ispirano e sostengono una vita vissuta ‘come se Dio non esistesse’” (n. 4). Pertanto, a fronte di una così massiccia scristianizzazione nei Paesi di antiche radici cristiane, invocava una “nuova evangelizzazione” come unica soluzione in grado di ripristinare una fede più limpida e profonda. E nella Redemptoris missio constatava che non solo le Chiese di antica cristianità dove interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della fede o addirittura non si riconoscono più come membri della Chiesa, ma anche quelle più giovani, erano alle prese col “drammatico compito di una ‘nuova evangelizzazione’ o ‘rievangelizzazione’” (n. 34).
Con Benedetto XVI – ma già prima col card. Ratzinger – il discorso sulla “nuova evangelizzazione” si è sviluppato, articolato e approfondito, parallelamente a una severa analisi dei fenomeni e dei problemi posti alla Chiesa dall’eclissi del senso di Dio, dalla secolarizzazione e dal relativismo, dalla drammatica frattura tra vangelo e cultura, dalla chiusura della scienza e della mentalità moderna alla razionalità della fede  per cui urge riproporre la Verità salvifica di Gesù Cristo alla ragione del nostro tempo perché al termine del secondo millennio, il cristianesimo si trova, proprio nel luogo della sua originaria diffusione, in Europa, in una crisi profonda, basata sulla crisi della sua pretesa verità. Già nell’omelia alla “Missa pro eligendo Romano Pontifice” (18 aprile 2005), il card. Ratzinger osservava: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quanti correnti ideologiche, quante mode del pensiero…La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde, gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice san Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (Ef 4,14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarci portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare spesso come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla di definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”. Nell’attuale contesto sociale e culturale agiscono molte forze che tendono ad allontanare dalla   fede e dalla vita cristiana, sempre più marginalizzate e ridotte a mera dimensione privata. Fra queste forze, il materialismo economico e il relativismo etico, conseguenza della radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale, con un autentico capovolgimento del punto di partenza di una cultura che puntava alla rivendicazione della centralità dell’uomo e della sua libertà. L’etica viene ricondotta entro i confini del relativismo e dell’utilitarismo, con l’esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso rendendo impossibile lo stesso tessuto sociale. Per far fronte al “predominio distruttivo” di queste forze e rispondere anche a un grande e inutilmente nascosto bisogno di speranza” è necessaria una nuova evangelizzazione, che non ha soltanto il compito di farsi nuovamente ascoltare da chi si è allontanato dalla Chiesa, ma anche di togliere l’opacità che ha reso irriconoscibile o meno nitida la fede degli stessi credenti. Questo, naturalmente è un lavoro umile e paziente, che non deve puntare a risultati immediati, ma gettare il “granello di senape” e lasciare che cresca quando e come Dio vorrà. Anche perché i campi nei quali intervenire sono molteplici (la famiglia, i giovani, le vocazioni, ecc.) e richiedono programmi e mezzi coordinati a più livelli, nel tentativo di ricostruire ciò che è stato distrutto o si è sensibilmente modificato nella vita della comunità ecclesiale e della società, nella mentalità e nei comportamenti delle persone, nel volto stesso delle città. Il Papa pensa certamente a un organico disegno di natura spirituale, ecclesiale e culturale che possa fronteggiare l’avanzata di una pervasiva mentalità secolarizzata, materialistica ed edonistica, ispirata a un’anarchia della libertà che finisce con il disgregare i fondamenti stessi sui quali si costruisce una società primariamente umana. In particolare, egli constata amaramente che nella Chiesa è sempre più acuto il distacco di coloro che, pur dichiarandosi credenti e praticanti, non sentono l’obbligo – specialmente su determinate questioni – di ottemperare ai suoi insegnamenti e alle sue direttive. Lo scolamento dell’intimo rapporto tra fede e vita, e il fatto stesso che il magistero e l’autorità della Chiesa siano sempre più relegati nel dominio di un privato religioso nettamente separato dagli atteggiamenti e dagli impegni nella sfera civile è un fenomeno che suscita preoccupazione e interrogativi, venendo crudelmente a confermare, oltre a una visione cristiana già in posizione minoritaria, anche da parte dei fedeli di una mentalità tipicamente “secolarizzata”. In questo contesto emerge dunque chiaramente il ruolo fondamentale che deve assumere nella Chiesa il lavoro della formazione e rieducazione della coscienza cristiana, per far sì che l’adesione di fede e le implicazioni che essa comporta tornino ad essere un’unità spontanea e visibile anche in piccole comunità di credenti ed abbiano a riflettersi in modo incisivo nei luoghi, nei gesti e nelle scelte personali dell’esistenza. Certo la “sfida fondamentale dell’evangelizzazione della cultura” nella sua attuale drammatica frattura con la fede ha come obiettivo la rifondazione di una nuova cultura, nel senso – come già notava Paolo VI nella Evangelii nuntiandi -  di “raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la parola di Dio e col disegno di salvezza”(n 19). In realtà, ogni cristiano – chiamato ad annunciare la novità della presenza e dell’azione ecclesiale per tutti e per tutto della presenza del Crocefisso risorto  in un modo di vivere nuovo verso la destinazione eterna della vita – non è unicamente testimone di una fede personale, ma di mantenere desta in tutti la sensibilità culturale per la verità invitando sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia e aiuta a trovare la via verso il futuro per tutti e per tutto. E’ all’interno di queste tematiche a largo raggio che è chiamato ad operare il Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, istituito da Benedetto XVI e affidato alla presidenza di mons. Rino Fisichella ( Mi sono rifatto quasi totalmenteal libro   Ratzinger Benedetto XVI Una Guida alla Lettura a cura di Giuliano Vigini (pp. 83-94)).

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