La teologia

Fa parte della teologia, da un lato l’umiltà che si lascia “toccare” da Dio, dall’altro la disciplina che si lega all’ordine della ragione, che preserva l’amore dalla cecità e che aiuta a sviluppare la sua forza visiva

“La consegna del premio (Ratzinger) può offrire l’occasione di dedicarci per un momento alla questione fondamentale di che cosa sia veramente “teologia”. La teologia è scienza della fede, ci dice la tradizione. Ma qui sorge subito la domanda: davvero è possibile questo? O non è in sé una contraddizione? Scienza non è forse il contrario di fede? Non cessa la fede di essere fede, quando diventa scienza? E non cessa la scienza di essere scienza quando è ordinata o addirittura subordinata alla fede? Tali questioni, che già per la teologia medioevale rappresentavano un serio problema, con il moderno  concetto di scienza sono diventate ancora più impellenti, a prima vista
addirittura senza soluzione. Si comprende così perché, nell’età moderna, che già  per la teologia medioevale rappresentavano un serio problema, con il moderno concetto di scienza sono diventate ancora più impellenti, a prima vista addirittura senza soluzione. Si comprende così perché, nell’età moderna, la teologia in vasti ambiti si sia ritirata primariamente nel campo della storia, al fine di dimostrare qui la sua seria scientificità. Bisogna riconoscere, con gratitudine, che con ciò sono state realizzate opere grandiose, e il messaggio cristiano ha ricevuto nuova luce, capace di renderne visibile l’intima ricchezza. Tuttavia, se la teologia si ritira totalmente nel passato, lascia oggi la fede nel buio . In una seconda fase ci si è poi concentrati sulla prassi, per mostrare come la  teologia, in collegamento con la psicologia e la sociologia, sia una scienza che dona indicazioni concrete per la vita. Anche questo è importante, ma se  il fondamento della teologia, la fede, non diviene contemporaneamente oggetto del pensiero, se la prassi sarebbe riferita solo a se stessa, oppure vive unicamente dei prestiti delle scienze umane, allora la prassi diventa vuota e priva di fondamento.
Queste vie non sono sufficienti. Per quanto siano utili ed importanti, esse diventerebbero sotterfugi, se restasse senza  risposta la domanda. Essa suona: è vero ciò in cui crediamo oppure no? Nella teologia è in gioco la questione circa la verità; essa è il suo fondamento ultimo ed essenziale…Se Cristo è il Logos, la verità, l’uomo deve corrispondere a Lui con il suo proprio logos, con la sua ragione. Per arrivare fino a Cristo, egli deve essere sulla via della verità. Deve aprirsi al Logos, alla Ragione creatrice, da cui deriva la sua stessa ragione e a cui essa lo rimanda. Da qui si capisce che la fede cristiana, per la sua stessa natura, deve suscitare la teologia, doveva interrogarsi sulla ragionevolezza della fede, anche se naturalmente il concetto di ragione e quello di scienza abbracciano molte dimensioni, e così la natura concreta del nesso tra fede e ragione doveva e deve sempre nuovamente essere scandagliata.
Per quanto si presenti dunque chiaro  nel cristianesimo il nesso fondamentale tra Logos, verità e fede – la forma concreta di tale nesso ha suscitato e suscita sempre nuove domande. E’ chiaro che in questo momento tale domanda, che ha occupato e occuperà tutte le generazioni, non può essere trattata in dettaglio, e neppure a grandi linee. Vorrei tentare soltanto di proporre una piccolissima nota. San Bonaventura, nel prologo al suo Commento alle Sentenze ha parlato di un duplice uso della ragione – di un uso che è inconciliabile con la natura della fede e di uno che invece appartiene proprio alla natura della fede. Esiste, così si dice, la violentia rationis, il dispotismo della ragione, che si fa giudice supremo e ultimo di tutto. Questo genere di uso della ragione è certamente impossibile nell’ambito della fede…Questa modalità di uso della ragione, nell’età moderna, ha raggiunto il culmine del suo sviluppo nell’ambito delle scienze naturali. La ragione sperimentale appare oggi ampiamente come l’unica forma di razionalità dichiarata scientifica. Ciò che non può essere scientificamente verificato, falsificato cade fuori dell’ambito scientifico. Con questa impostazione sono state realizzate opere grandiose, come sappiamo; che essa sia giusta e necessaria nell’ambito della conoscenza della natura e delle sue leggi nessuno vorrà seriamente porlo in dubbio. Esiste tuttavia un limite a tale uso della ragione: Dio non è un oggetto della sperimentazione umana. Egli è il Soggetto e si manifesta soltanto nel rapporto da persona a persona: ciò fa parte dell’essenza della persona.
In questa prospettiva Bonaventura fa cenno ad un secondo uso della ragione, che vale per l’ambito del “personale”, per le grandi questioni dello stesso essere uomini. L’amore vuole conoscere meglio colui che ama. L’amore, l’amore vero, non rende ciechi, ma vedenti. Di esso fa parte proprio la sete di conoscenza, di una vera conoscenza dell’altro. Per questo i Padri della Chiesa hanno trovato i precursori e gli antesignani del cristianesimo – al di fuori del mondo della rivelazione di Israele – non nell’ambito della religione consuetudinaria, bensì negli uomini in ricerca di Dio, in ricerca della verità, nei “filosofi”, in persone che erano assetate di verità ed erano quindi sulla strada verso Dio. Quando non c’è questo uso della ragione, allora le grandi questioni dell’umanità cadono fuori dell’ambito della ragione e vengono lasciate alla irrazionalità. Per questo un’autentica teologia è così importante. La fede retta orienta la ragione ad aprirsi al divino, affinché essa, guidata dall’amore per la verità, posso conoscere Dio più da vicino. L’iniziativa per questo cammino sta presso Dio, che ha posto nel cuore di ogni uomo la ricerca del suo Volto. Fa quindi parte della teologia, da un lato l’umiltà che si lascia “toccare” da Dio, dall’altro la disciplina che si lega all’ordine della ragione, che preserva l’amore dalla cecità e che aiuta a sviluppare la sua forza visiva” (Benedetto XVI, Conferimento del Premio Ratzinger, 30 giugno 2011).

Fin dai tempi di Tertulliano e in tutta la prassi patristica il cristianesimo ha affermato di non essere la consuetudine ma la religione vera, a differenza delle religioni pagane, ormai prive di verità agli occhi della stessa razionalità precristiana, realizzando rispetto ad esse una grande opera di “demitizzazione”.
Un cammino di questo genere era già iniziato nel giudaismo, ma rimaneva la difficoltà del legame speciale tra l’unico Dio creatore universale e il popolo giudaico, legame superato dal cristianesimo, nel quale l’unico Dio si pone, crocefisso risorto, come salvatore, senza discriminazioni, di tutti i popoli, della storia, del cosmo. In questo senso, l’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero filosofico greco non è stato un semplice caso, ma la concretizzazione storica del rapporto intrinseco tra rivelazione e razionalità. E proprio questa amicizia dell’intelligenza accanto alla carità è anche uno dei motivi fondamentali della forza  del cristianesimo nel mondo ellenistico – romano.
E di fronte alla sfiducia contemporanea riguardo alla possibilità, per l’uomo di conoscere la verità la nuova evangelizzazione punta a mantenere desta la sensibilità per la verità invitando sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come Luce che illumina la storia ad aiuta a trovare la via verso il futuro. E  Ratzinger teologo tutto ha puntato sulla Verità salvifica di Gesù Cristo alla ragione del nostro tempo partendo dalla convinzione che al termine del secondo millennio, il cristianesimo si trova, proprio nel luogo della sua originaria diffusione, in Europa, in una crisi profonda, basata sulla crisi della sua pretesa verità.

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