Realismo sacramentale
Egli, realmente risorto, parla anche oggi attraverso la Scrittura, si dona a noi in persona attraverso cose materiali cioè i sacramenti, con al centro l’Eucaristia del nostro rapporto con Dio e della configurazione della nostra vita di figli nel Figlio
“La vera azione liturgica, il vero atto liturgico, è la oratio – la grande preghiera, che costituisce il cuore della Celebrazione eucaristica…Noi siamo la religione spirituale, nella quale in effetti ha luogo il culto a modo di parola, dove non vengono più immolati capri e vitelli, ma viene rivolta a Dio la parola che si fonde con la Parola in senso assoluto, con il Logos di Dio, che ci attira dentro la vera adorazione. E’ forse utile annotare, qui, che la parola oratio originariamente non significa “preghiera” (per questa si aveva la parola prex), ma il solenne discorso pubblico, che ora però acquisisce la sua più alta dignità per il fatto che è rivolto a Dio – nella consapevolezza che, in quanto tale, esso proviene da Dio stesso e da Lui è reso possibile.
Questa oratio – la solenne preghiera eucaristica, il “canone” – è davvero più di un discorso, è actio nel senso più alto della parola. In essa, infatti, accade che l’actio umana (così come fino a quel momento era stata esercitata dai sacerdoti nelle diverse religioni) passa in seconda linea e lascia spazio all’actio divina, all’agire di Dio. In questa oratio il sacerdote parla insieme con l’Io del Signore – “questo è il mio corpo”, “questo è il mio sangue” – nella consapevolezza che egli ora non parla più a nome proprio, ma, in virtù del Sacramento da lui ricevuto, diventa voce dell’Altro che ora parla e agisce. Questo agire di Dio, che si compie attraverso il discorso umano, è la vera “azione” di cui tutta la creazione è in attesa: gli elementi della terra vengono transustanziati, strappati per così dire dal loro ancoraggio creaturale, afferrati nel fondamento più profondo del loro essere e trasformati in corpo e sangue del Signore. Vengono anticipati il nuovo cielo e la nuova terra. La vera “azione” nella liturgia, alla quale tutti dobbiamo aver parte, è l’agire di Dio stesso. Questa è la novità e la particolarità della liturgia cristiana, che cioè Dio stesso agisce, che è Lui a compiere l’essenziale: fa sorgere la nuova creazione, si rende accessibile, affinché noi, attraverso le cose della terra, attraverso i nostri doni, possiamo comunicare con Lui in modo del tutto personale. Ma come possiamo allora prendere parte a quest’azione? Dio e l’uomo non sono forse del tutto incomensurabili? Può l’uomo, finito e peccatore com’è, cooperare con Dio, l’Infinito e il Santo? Ebbene, egli lo può proprio per il fatto che Dio stesso si è fatto uomo, si è fatto corpo e qui, sempre di nuovo, mediante il suo corpo, viene incontro a noi, che viviamo nel corpo. L’intero evento costituito da incarnazione, croce, Risurrezione e ritorno, è presente come il modo in cui Dio attira l’uomo dentro la cooperazione con se stesso. Nella liturgia ciò si esprime, come abbiamo già visto, nel fatto che dell’oratio fa parte la preghiera d’accettazione. Certamente, il sacrificio del Logos è già sempre accettato. Ma noi dobbiamo pregare perché esso diventi il nostro sacrificio, perché noi stessi, come abbiamo detto, veniamo trasformati dal Logos, resi conformi a Lui e così diventiamo vero corpo di Cristo: è di questo che si tratta. E ciò deve essere chiesto nella preghiera. Questa preghiera è essa stessa una via, un essere in cammino della nostra esistenza verso l’inserimento nell’Incarnazione e nella Risurrezione. In questa “azione” essenziale, in questo avvicinarsi in per mezzo della preghiera alla partecipazione non c’è alcuna differenza tra sacerdoti e laici. Certo, il rivolgere in nome della Chiesa l’oratio al Signore e parlare, nella sua parte centrale, insieme con l’Io di Gesù Cristo – questo può avvenire solo grazie all’autorizzazione conferita nel Sacramento. Ma la partecipazione a ciò che non viene fatto da alcuno uomo, bensì dal Signore stesso e che solo Egli può fare, questa partecipazione è uguale per tutti. Per tutti noi si tratta – conformemente a quanto leggiamo in 1 Cor 6,17 – di “unirci al Signore e di formare con Lui una sola esistenza pneumatica”. Si tratta di far sì che in definitiva la differenza tra l’actio di Cristo e quella nostra venga annullata; che vi rimanga un’unica actio, che sia nello stesso tempo la sua e la nostra: la nostra perché siamo arrivati a formare con Lui “un solo corpo ed un solo spirito”.La singolarità della liturgia eucaristica consiste proprio nel fatto che Dio stesso agisce e che noi veniamo coinvolti in questo agire di Dio, Rispetto a ciò, tutto il resto è secondario” (Joseph Ratzinger, Teologia della Liturgia, LEV pp. 163-165).
La prima grande predicazione di Gesù, che occupa i capitoli 5, 6 e 7 di Matteo e che comincia con le beatitudini, si chiama “Discorso della montagna”! Mosé salì sul monte Sinai per ricevere la Legge di Dio e portarla al Popolo eletto, Legge che Gesù non abolisce ma porta a compimento per la fede vissuta da tutti. Gesù è il Figlio stesso di Dio che è disceso dal Cielo rivendicando per sé la stessa autorità di Dio, fonte della Legge per portarci all’altezza di Dio sulla via dell’amore. La novità di Gesù consiste, essenzialmente, nel fatto che Lui stesso “riempie” i comandamenti con l’amore di Dio, con la forza dello Spirito Santo che abita in Lui. E noi, ascoltando Lui, incarnato, morto risorto e che verrà, e che si dona in persona attraverso i Sacramenti, l’Eucaristia in particolare possiamo aprirci all’azione dello Spirito Santo, che ci rende capaci di vivere l’amore divino. Anzi Lui stesso, realmente risorto, è questa via: non dobbiamo far altro che lasciarci assimilare a Lui: è realmente, corporalmente, presente e quindi opera. Ma laddove la risurrezione viene interpretata come l’accadimento di una missione percepita in immagini superate, non si consente a Dio di operare. Senza l’affermazione realistica di fede professata e celebrata che “Egli è risorto” il “Discorso della montagna”, il fondamento della fede vissuta e pregata non è più possibile.
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