Europa Cristiana
Dio è l’origine del nostro essere e il fondamento e il culmine della nostra libertà, non il suo oppositore
“”Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù” (At 4,33). In effetti, al punto di partenza di tutto ciò che il cristianesimo è stato e continua ad essere non si trova un’iniziativa o un progetto umano, ma Dio, che dichiara Gesù giusto e santo di fronte alla sentenza del tribunale umano che lo condannò come blasfemo e sovversivo; Dio, che ha strappato Gesù Cristo dalla morte; Dio, che farà giustizia a tutti quelli che sono ingiustamente gli umiliati della storia.
“Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono” (At 5,32), dicono gli apostoli. Così infatti essi diedero testimonianza della vita, morte e risurrezione di Cristo Gesù, che conobbero mentre predicava e compiva miracoli. A noi, cari fratelli, spetta oggi seguire l’esempio degli apostoli, conoscendo il Signore ogni giorno di più e dando una testimonianza chiara e valida del suo Vangelo. Non vi è maggior tesoro che possiamo offrire ai nostri contemporanei. Così imiteremo anche san Paolo che, in mezzo a tante tribolazioni, naufragi e solitudini, proclamava esultante: “Noi (…) abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi” (2 Cor 4,7).
Insieme a queste parole dell’Apostolo dei gentili, vi sono le parole stesse del Vangelo che abbiamo appena ascoltato, e che invitano a vivere secondo l’umiltà di Cristo, il quale, seguendo in tutto la volontà del Padre, è venuto per servire, “e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mt 20,28). Per i discepoli che vogliono seguire e imitare Cristo, servire il fratello non è più una mera opzione, ma parte essenziale del proprio essere. Un servizio che non si misura in base a criteri mondani dell’immediato, del materiale e dell’apparente, ma perché rende presente l’amore di Dio per tutti gli uomini e in tutte le loro dimensioni, e dà testimonianza di Lui, anche con i gesti più semplici. Nel proporre questo nuovo modo di relazionarsi nella comunità, basato sulla logica dell’amore e del servizio, Gesù si rivolge anche ai “capi dei popoli”, perché dove non vi è impegno per gli altri sorgono forme di prepotenza e sfruttamento che non lasciano spazio a un’autentica promozione umana integrale. E vorrei che questo messaggio giungesse soprattutto ai giovani: proprio a voi, questo contenuto essenziale del Vangelo indica la via perché, rinunciando a un modo di pensare egoistico, di breve portata, come tante volte si propone, e assumendo quello di Gesù, possiate realizzarvi pienamente ed essere seme di speranza.
Questo è ciò che ricorda anche la celebrazione di questo Anno Santo Compostelano. E questo è quello che nel segreto del cuore, sapendolo esplicitamente o sentendolo senza saperlo esprimere a parole, vivono tanti pellegrini che camminano fino a Santiago di Compostela per abbracciare l’Apostolo. La stanchezza dell’andare, la varietà dei paesaggi, l’incontro con persone di altra nazionalità, li aprono a ciò che di più profondo e comune ci unisce agli uomini: esseri in ricerca, esseri che hanno bisogno di verità e di bellezza, di un’esperienza di grazia, di carità e di pace, di perdono e di redenzione. E nel più nascosto di tutti questi uomini risuona la presenza di Dio e l’azione dello Spirito santo. Sì, ogni uomo che fa silenzio dentro di sé e prende le distanze dalle brame, desideri e faccende immediati, l’uomo che prega, Dio lo illumina affinché incontri e riconosca Cristo. Chi compie il pellegrinaggio a Santiago, in fondo, lo fa per incontrarsi soprattutto con Dio, che, riflesso nella maestà di Cristo, lo accoglie e benedice nell’arrivare al Portico della Gloria.
Da qui, come messaggero del Vangelo che Pietro e Giacomo firmarono con il proprio sangue, desidero volgere lo sguardo sull’Europa che andò in pellegrinaggio a Compostela. Quali sono le sue grandi necessità, timori e speranze? Qual è il contributo specifico e fondamentale della Chiesa a questa Europa, che ha percorso nell’ultimo secolo un cammino verso nuove configurazioni e progetti? Il suo apporto è centrato in una realtà così semplice e decisiva: che Dio esiste e che è Lui che ci ha dato la vita. Solo Lui è assoluto, amore fedele e immutabile, meta infinita, che traspare dietro tutti i beni, verità e bellezze meravigliose di questo mondo; meravigliose e insufficienti per il cuore dell’uomo. Lo comprese santa Teresa di Gesù quando disse: “Solo Dio basta”.
E’ una tragedia che in Europa, soprattutto nel XIX secolo, si affermasse e diffondesse la convinzione che Dio è l’antagonista dell’uomo e il nemico della sua libertà. Con questo si voleva mettere in ombra la vera fede biblica in Dio, che mandò nel mondo il suo Figlio Gesù Cristo perché nessuno muoia, ma tutti abbiano la vita eterna (Gv 3,16).
L’autore sacro afferma perentorio davanti a un paganesimo per il quale Dio è invidioso dell’uomo o lo disprezza: come Dio avrebbe creato tutte le cose se non le avesse amate, Lui che nella sua infinita pienezza non ha bisogno di nulla? (Sap 11,2426). Come si sarebbe rivelato agli uomini se non avesse voluto proteggerli? Dio è l’origine del nostro essere e il fondamento e culmine della nostra libertà, non il suo oppositore. Come l’uomo mortale si può fondare su se stesso e come l’uomo peccatore si può riconciliare con se stesso? Come è possibile che si sia fatto pubblico silenzio sulla realtà prima ed essenziale della vita umana? Come ciò che è più determinante in essa può essere rinchiuso nella mera intimità o relegato nella penombra? Noi uomini non possiamo vivere nelle tenebre, senza vedere la luce del sole. E, allora, come è possibile che si neghi a Dio, sole delel intelligenze, forza della volontà e calamita dei nostri cuori, il diritto di proporre questa luce che dissipa ogni tenebra? Perciò, è necessario che Dio torni a risuonare gioiosamente sotto i cieli dell’Europa; che questa parola santa non si pronunci mai invano; che non venga stravolta facendola servire a fini che non le sono propri. Occorre che venga proferita santamente. E’ necessario che la percepiamo così nella vita di ogni giorno, nel silenzio del lavoro, nell’amore fraterno e nelle difficoltà che gli anni portano con sé.
L’Europa deve aprirsi a Dio, uscire all’incontro con Lui senza paura, lavorare con la sua grazia per quella dignità dell’uomo che avevano scoperto le migliori tradizioni: oltre a quella biblica, fondamentale a tale riguardo, quella dell’epoca classica, medioevale e moderna, dalle quali nacquero le grandi creazioni filosofiche e letterarie, culturali e sociali dell’Europa.
Questo Dio e questo uomo sono quelli che si sono manifestati concretamente e storicamente in Cristo. Cristo che posiamo trovare nei cammini che conducono a Compostela, dato che in essi vi è una croce che accoglie e orienta ai crocicchi. Questa croce, segno supremo dell’amore portato fino all’estremo, e perciò dono e perdono allo stesso tempo, dev’essere la nostra stella polare nella notte del tempo. Croce e amore, croce e luce sono stati sinonimi della nostra storia, perché Cristo si lasciò inchiodare in essa per darci la suprema testimonianza del suo amore, per rinvitarci al perdono e alla riconciliazione, per insegnarci a vincere il male con il bene. Non smettete di imparare le lezioni di questo Cristo dei crocicchi dei cammini e della vita, in Lui ci viene incontro Dio come amico, padre e guida. O Croce benedetta, brilla sempre nelle terre d’Europa!
Lasciate che proclami da qui la gloria dell’uomo, che avverta delle minacce alla sua dignità per la privazione dei suoi valori e ricchezze originari, l’emarginazione o la morte inflitte ai più deboli e poveri. Non si può dar culto a Dio senza proteggere ogni uomo suo figlio e non si serve l’uomo senza chiedersi che è suo Padre e rispondere alla domanda su di lui. L’Europa della scienza e delle tecnologie, l’Europa della civilizzazione e della cultura, deve essere allo stesso tempo l’Europa aperta alla trascendenza e alla fraternità con altri continenti, al Dio vivo e vero a partire dall’uomo vivo e vero. Questo è ciò che la Chiesa desidera apportare all’Europa: avere cura di Dio e avere cura di ogni uomo, a partire dalla comprensione che di entrambi ci viene offerta in Cristo” (Benedetto XVI, Omelia in occasione dell’Anno santo Compostellano, 6 novembre 2010).
Il Papa ha voluto il nuovo Dicastero per la “nuova evangelizzazione” per far fronte alla novità del pensiero, alle difficoltà di pensare nei concetti della Scrittura, della teologia, difficoltà che ormai è universale, ma soprattutto nel luogo della diffusione originaria del cristianesimo nel centro del mondo e questo è il mondo occidentale con il suo secolarismo, la sua laicità, e la continuità della fede come verità salvifica di Gesù Cristo al nostro tempo, nel rinnovarsi per essere fede oggi e per rispondere alla sfida della laicità. La Spagna è stata, da sempre, un Paese “originario” della fede; pensiamo che alla nascita del cattolicesimo nell’epoca moderna avviene soprattutto grazie alla Spagna; figure come sant’Ignazio di Loyola, santa Teresa d’Avila e san Giovanni d’Avila, sono figure che hanno realmente rinnovato il cattolicesimo, hanno formato la fisionomia del cattolicesimo moderno. Ma è ugualmente vero – ha sottolineato il Papa nell’intervista concessa i giornalisti durante il volo verso la Spagna – che in Spagna è nata anche una laicità, un anticlericalismo, un secolarismo forte e aggressivo, come abbiamo visto negli anni trenta, e questa disputa, questo scontro tra fede e modernità, ambedue molto vivaci, si realizza anche oggi di nuovo in Spagna: perciò per il futuro della fede e dell’incontro – non lo scontro, ma l’incontro tra fede e laicità – ha un punto centrale anche proprio nella cultura spagnola. In questso sesso il Papa ha pensato a tutti i Paesi dell’Occidente, ma soprattutto anche alla Spagna nell’avviare il Dicastero della “nuova evangelizzazione”.
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