Erik Peterson
“Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura” (Eb 13,14). Questa citazione della Lettera agli Ebrei, si potrebbe porre come un motto della vita di Erik Peterson. In realtà, egli non ha trovato un vero posto in tutta la sua vita, dove poter ottenere riconoscimento e stabile dimora. L’inizio della sua attività scientifica cade in un periodo di rivolgimenti in Germania dopo la Prima Guerra Mondiale. La monarchia era crollata. L’ordine civile sembrava a rischio di fronte agli sconvolgimenti politici e sociali. Ciò si rifletteva anche nell’ambito religioso, e, in modo
particolare, nel protestantesimo tedesco. La teologia liberale fino ad allora predominante, con il proprio ottimismo nel progresso, era entrata in crisi e lasciava spazio a nuove spinte teologiche in contrasto tra di loro. La situazione contemporanea poneva un problema esistenziale al giovane Peterson. Con interesse sia storico che teologico, egli aveva già scelto la materia dei suoi studi, come afferma, secondo la prospettiva “ che quando rimaniamo soli con la storia umana, ci troviamo davanti ad un enigma senza senso”. Peterson, lo cito di nuovo, decise di “lavorare in campo storico e di affrontare specialmente problemi di storia delle religioni”, perché nella teologia evangelica di allora egli non riusciva “a farsi strada, nel folto delle opinioni, fino alle cose in se stesse”. In questo cammino giunse sempre più alla certezza che non c’è alcuna storia staccata da Dio e che in questa storia Il punto di partenza di questo cammino è il carattere vincolante della Sacra Scrittura. Secondo Peterson, la Sacra Scrittura diventa ed è vincolante non in quanto tale, essa non sta solo in se stessa, ma nell’ermeneutica della Tradizione apostolica, che, a sua volta, si concretizza nella successione apostolica e così la Chiesa mantiene la Scrittura in un’attualità viva (riaccade qui e ora quello che documenta) e contemporaneamente la interpreta. Attraverso i vescovi, che si trovano nella successione apostolica, la testimonianza della Scrittura rimane viva nella Chiesa e costituisce il fondamento per le convinzioni di fede permanentemente valide della Chiesa, che incontriamo innanzitutto nel credo e nel dogma. Tali convinzioni si dispiegano continuamente nella liturgia quale spazio vissuto della Chiesa per la lode di Dio. L’Ufficio divino celebrato sulla terra si trova, quindi, in una relazione indissolubile con la Gerusalemme celeste: là è offerto a Dio e all’Agnello il vero ed eterno sacrificio di lode, di cui la celebrazione terrena è solamente immagine. Chi partecipa alla Santa Messa si ferma quasi alla soglia della sfera celeste, dalla quale contempla il culto che si compie tra gli Angeli e i Santi. In qualsiasi luogo in cui la Chiesa terrestre intona la sua lode eucaristica, essa si unisce a questa festosa assemblea celeste, nella quale, nei Santi, è già arrivata parte di se stessa, e dà speranza a quanti sono ancora in cammino su questa terra verso il compimento eterno.
Forse è questo il punto, in cui devo inserire una riflessione personale. Ho scoperto per la prima volta la figura di Erik Peterson nel 1951. Allora ero Cappellano a Bogenhausen e il direttore della locale casa editrice Kosel, il signor Wild, mi diede il volume, appena pubblicato, “Trattati teologici”. Lo lessi con curiosità crescente e mi lasciai davvero appassionare da questo libro, perché lì c’era la teologia che cercavo: una teologia, che impiega tutta la serietà storica per comprendere e studiare i testi, analizzandoli con tutta la serietà della ricerca storica, e che non li lascia rimanere nel passato, ma che, nella sua investigazione, partecipa all’auto superamento della lettera, entra in questo auto superamento e si lascia condurre da esso e così viene in contatto con Colui dal quale la teologia stessa proviene: con il Dio vivente. E così lo iato tra il passato, che la filologia analizza, e l’oggi è superato di per se stesso, perché la parola conduce all’incontro con la realtà, e l’attualità intera di quanto è scritto, che trascende se stesso verso la realtà, diventa viva e operante. Così, da lui ho imparato, in modo essenziale profondo, che cosa sia realmente la teologia e ho provato perfino ammirazione, perché qui non si dice solo ciò che si pensa, ma questo libro è espressione di un cammino, che era la passione della sua vita” (Benedetto XVI, Ai partecipanti al Simposio Internazionale su Erik Peterson, 25 ottobre 2010).
Nello scambio di lettere con Harnack Peterson trovò conferma del cammino di scoperta che lo aveva portato al contatto con Colui dal quale la teologia stessa proviene:”la Scrittura vive nella Tradizione e la Tradizione vive nella forma vivente della Successione”. Questo il principio originario e oggettivo che il “sola Scriptura” della riforma non funziona convertendosi al principio formale cattolico: si è fatto scuotere, sconvolgere, piegare, trasformare pur esperimentando che “non abbiamo quaggiù una città stabile”. Egli è passato dalla sicurezza di una cattedra all’incertezza, senza dimora, ed è rimasto per tutta la vita privo di una base sicura e senza una patria certa, veramente in cammino con la fede e per la fede, nella fiducia che in questo cammino senza dimora era a casa della verità e si avvicinava sempre più alla liturgia celeste trovando sostegno nella comunione dell’amore, e che nell’amore stesso vi è qualcosa che dura per l’eternità Egli esistenzialmente ha vissuto questo essere straniero del cristiano nella teologia evangelica e convertendosi è rimasto straniero anche nella teologia cattolica, com’era allora. Il papa ha ringraziato il Cardinale Lehmann della pubblicazione delle opere di Peterson in una magnifica edizione completa in edizione anche italiana. Così c’è la possibilità di non fermarsi nei dettagli ma di giungere a una visione dell’insieme della teologia.
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