Cattolici in politica

Cattolici nell’Italia di oggi con un’agenda di speranza per il futuro del Paese e di tutta l’Umanità

“Il primo pensiero, nel rivolgermi a Lei cardinale Angelo Bagnasco Presidente della Conferenza Episcopale Italiana e ai Convegnisti riuniti a Reggio Calabria in occasione della celebrazione della 46° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, è di profonda gratitudine per il contributo di riflessione e di confronto che a nome della Chiesa in Italia, volete offrire al Paese.

Tale apporto è reso ancor più prezioso dall’ampio percorso preparatorio, che negli ultimi due anni ha coinvolto diocesi, aggregazioni ecclesiali e centri accademici: le iniziative realizzate in vista di questo appuntamento evidenziano la diffusa disponibilità all’interno delle comunità cristiane a riconoscersi “cattolici nell’Italia di oggi”, coltivando l’obiettivo di “un’agenda di speranza per il futuro del Paese”, come recita il tema della presente Settimana Sociale.
Tutto ciò assume un rilievo maggiormente significativo nella congiuntura socio – economica che stiamo attraversando. A livello nazionale, la conseguenza più evidente della recente crisi finanziaria globale sta nel propagarsi della disoccupazione e della precarietà, che spesso impedisce ai giovani – specialmente nelle aree del Mezzogiorno – di radicarsi nel proprio territorio, quali protagonisti dello sviluppo. Per tutti, comunque, tali difficoltà costituiscono  un ostacolo sul cammino della realizzazione dei propri ideali di vita, favorendo la tentazione di ripiegamento e del disorientamento. Facilmente la sfiducia si trasforma in rassegnazione, diffidenza, disaffezione e disimpegno, a scapito del legittimo investimento sul futuro.
A ben vedere, il problema non è soltanto economico, ma soprattutto culturale e trova riscontro in particolare nella crisi demografica, nelle difficoltà a valorizzare appieno il ruolo delle donne, nella fatica di tanti adulti nel concepirsi e porsi come educatori. A maggior ragione, bisogna riconoscere e sostenere con forza e fattivamente l’insostituibile funzione sociale della famiglia, cuore della vita affettiva e relazionale, nonché luogo che più e meglio di tutti gli altri assicura aiuto, cura, solidarietà, capacità di trasmissione del patrimonio valoriale alle nuove generazioni. E’ perciò necessario che tutti i soggetti istituzionali e sociali si impegnino nell’assicurare alla famiglia efficaci misure di sostegno, dotandola di risorse adeguate e permettendo una giusta conciliazione con i tempi del lavoro.
Non manca certo ai cattolici la consapevolezza del fatto che tali aspettative debbano collocarsi oggi all’interno delle complesse e delicate trasformazioni che interessano l’intera umanità. Come ho avuto modo di rilevare nell’Enciclica Caritas in veritate, “il rischio del nostro tempo è che all’interdipendenza di fatto tra gli uomini non corrisponda l’interazione delle coscienze e delle intelligenze” (n. 9). Ciò esige “una visione chiara di tutti gli aspetti economici, sociali, culturali, spirituali” (ibidem, n. 31) dello sviluppo.
Fare fronte ai problemi attuali, tutelando nel contempo  la vita umana dal concepimento alla sua fine naturale, difendendo la dignità di ogni persona, salvaguardando l’ambiente e promuovendo la pace, non è compito facile, ma nemmeno impossibile, se resta ferma la fiducia nelle capacità dell’uomo, si allarga in concetto di ragione e del suo uso e ciascuno si assume le proprie responsabilità. Sarebbe, infatti, illusorio delegare la ricerca di soluzioni soltanto alle pubbliche autorità: i soggetti politici, il mondo dell’impresa, le organizzazioni sindacali, gli operatori sociali e tutti i cittadini, in quanto tali e in forma associata, sono chiamati a maturare una forte capacità di analisi, di lungimiranza e di partecipazione.
Muoversi secondo una prospettiva di responsabilità comporta la disponibilità a uscire dalla ricerca del proprio interesse esclusivo, per perseguire insieme il bene del Paese e dell’intera famiglia umana. La Chiesa, quando richiama l’orizzonte del bene comune – categoria portante della sua dottrina sociale – intende infatti riferirsi al “bene di quel noi – tutti”, che “non è ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e che solo in essa possono realmente ed efficacemente conseguire il loro bene” (ibidem, n. 7). In altre parole, il bene comune è ciò che costruisce e qualifica la città degli uomini, il criterio fondamentale della vita sociale e politica, il fine dell’agire umano e del progresso; è “esigenza di giustizia e di carità” (ibidem), promozione  del rispetto dei diritti degli individui e dei popoli, nonché di relazioni caratterizzate dalla logica del dono. Esso trova nei valori del cristianesimo l’elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale” (ibidem, n. 4).
Per questa ragione, rinnovo l’appello perché sorga una nuova generazione di cattolici, persone interiormente rinnovate che si impegnino nell’attività politica senza complessi d’inferiorità. Tale presenza, certamente, non s’improvvisa; rimane piuttosto l’obiettivo a cui deve tendere un cammino di formazione intellettuale e morale che, partendo dalle grandi verità intorno a Dio, all’uomo e al mondo, offra criteri di giudizio e principi etici per interpretare il bene di tutti e di ciascuno. Per la Chiesa in Italia, che opportunamente ha assunto la sfida educativa come prioritaria nel presente decennio, si tratta di spendersi nella formazione delle coscienze cristiane mature, cioè aliene dall’egoismo, dalla cupidigia dei beni e dalla bramosia della carriera e, invece, coerenti con la fede professata, conoscitrici dei beni e delle dinamiche culturali e sociali di questo tempo e capaci di assumere responsabilità pubbliche con competenza professionale e spirito di servizio. L’impegno socio – politico, con le risorse spirituali e le attitudini che richiede, rimane una vocazione alta, a cui la Chiesa invita a rispondere con umiltà e determinazione.
La Settimana Sociale che state celebrando intende proporre “un’agenda di speranza per il futuro del Paese”. Si tratta indubbiamente, di un metodo di lavoro innovativo, che assume come punto di partenza le esperienze in atto, per riconoscere e valorizzare le potenzialità culturali, spirituali e morali inscritte nel nostro tempo, pur così complesso.
Uno dei vostri ambiti di approfondimento riguarda il fenomeno migratorio e, in particolare, la ricerca di strategie e di regole che favoriscano l’inclusione delle nuove presenze. E’ significativo che, esattamente cinquant’anni fa e nella stessa città, una Settimana Sociale sia stata dedicata interamente al tema delle migrazioni, specialmente a quelle che allora avvenivano all’interno del Paese. Ai nostri giorni il fenomeno ha assunto proporzioni imponenti: superata la fase dell’emergenza, nella quale la Chiesa si è spesa con generosità per la prima accoglienza, è necessario passare a una seconda fase, che individui, nel pieno rispetto della legalità, i termini dell’integrazione.
Ai credenti, come pure a tutti gli uomini di buona volontà, è chiesto di fare tutto il possibile per debellare quelle situazioni di ingiustizia, di miseria e di conflitto che costringono tanti uomini a intraprendere la via dell’esodo, promuovendo nel contempo le condizioni di un inserimento nelle nostre terre di quanti intendono, con il loro lavoro e il patrimonio della loro tradizione contribuire alla costruzione di una società migliore di quella che hanno lasciato. Nel riconoscere il protagonismo degli immigrati, ci sentiamo chiamati a presentare loro il Vangelo, annuncio di salvezza e di vita piena per ogni uomo e ogni donna.
Del resto, la speranza con cui intendete costruire il futuro del Paese non si risolve nella pur legittima aspirazione a un futuro migliore. Nasce, piuttosto, dalla convinzione che la storia è guidata dalla Provvidenza divina e tende a un’alba che trascende gli orizzonti dell’operare umano. Questa “speranza affidabile” ha il volto di Cristo: nel Verbo di Dio fatto uomo ciascuno di noi trova il coraggio della testimonianza e l’abnegazione nel servizio. Non manca certo, nella meravigliosa scia di luce che contraddistingue l’esperienza di fede del popolo italiano, la traccia gloriosa di tanti Santi e Sante – sacerdoti, consacrati e laici -, che si sono impegnati in campo sociale per promuovere condizioni più giuste ed eque per tutti, in primo luogo per i poveri.
In questa prospettiva, mentre auguro proficui giorni di lavoro e di incontro, vi incoraggio a sentirvi all’altezza della sfida che vi è posta dinanzi: la Chiesa cattolica ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma costituiscono una realtà molto viva e attuale, capace di offrire un orientamento creativo per il futuro.
Alla vigilia del 150° anniversario dell’Unità nazionale, da Reggio Calabria possa emergere un comune sentire, frutto di un’interpretazione credente della situazione del Paese; un saggezza propositiva, che sia risultato di un discernimento culturale ed etico, condizione costitutiva delle scelte politiche ed economiche. Da ciò dipende il rilancio del dinamismo civile, per un futuro che sia – per tutti – all’insegna del bene comune” (Benedetto XVI,Messaggio in occasione della 46° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, 12 ottobre 2010).

Attingendo alle due ali della fede e della ragione la Dottrina sociale della Chiesa, Carità nella verità in ambito sociale che comprende cultura, economia, politica, propone “criteri orientativi dell’azione morale (n.6) fra cui due sono sottolineati:
-         la giustizia – infatti “la carità eccede la giustizia …ma non è mai senza la giustizia” (ibidem):
-         e il bene comune cioè di ogni io concreto, il bene della polis, così che la politica è propriamente “prendersi cura, da una parte, e avvalersi dall’altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale che in tal modo  prende forma di polis, di città” (ibidem, n. 7). Il dovere politico è per tutti: “ogni cristiano è chiamato a questa carità, nel modo della sua vocazione e secondo le sue possibilità d’incidenza nella polis. E’ questa la via istituzionale – possiamo dire anche politica – della carità, non meno qualificata e incisiva di quanto sia la carità che incontra il prossimo direttamente, fuori delle mediazioni istituzionali della polis” (ibidem) e di cui la Chiesa si sente soggetto continuo, mai soggetto politico immediato ma mediato dall’azione di responsabilità personale dei credenti in quanto cittadini. L’orizzonte di quest’attività, di questa carità anche politica doverosa per ogni cristiano alla luce del Vangelo – e che, ovviamente, non si riduce all’azione dei partiti – è insieme altissimo ed entusiasmante, maturante pur rischioso nel puntare al libero consenso nella gestione del potere per il bene comune: si tratta, infatti, di una vera “testimonianza  della carità divina che, operando nel tempo (piccole o grandi speranze che mantengono in cammino verso la “speranza affidabile” del divino), prepara l’eterno. L’azione dell’uomo sulla terra, quando è ispirata e sostenuta dalla carità, contribuisce all’edificazione di quella universale città di Dio…così da dare forma di unità e di pace alla città dell’uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio” (ibidem n. 7).

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