Il prete

Solo il prete che ha un rapporto personalmente intimo con il Signore viene afferrato da Lui, può portarlo agli altri, può essere inviato ad attualizzare il sacerdozio comune dei fedeli

“E’ dunque, l’intera Chiesa di Roma che oggi rende grazie a Dio e prega per voi, che ripone tanta fiducia e speranza nel vostro domani, che aspetta frutti abbondanti di santità e di bene dal vostro ministero sacerdotale. Sì, la Chiesa conta su di voi, conta moltissimo su di voi! La Chiesa ha bisogno di ciascuno di voi, consapevole come è dei doni che Dio vi offre e, insieme, dell’assoluta necessità del cuore di ogni uomo di incontrarsi con Cristo, unico e universale salvatore del mondo, per ricevere da lui la vita nuova ed eterna, la vera libertà e la gioia piena. Ci sentiamo, allora, tutti invitati ad entrare nel “mistero”, nell’evento di grazia che si sta realizzando nei vostri cuori con l’Ordinazione presbiterale, lasciandoci illuminare dalla Parola di Dio.
Il Vangelo (Lc 9,18-24) ci presenta un momento significativo del cammino di Gesù, nel quale egli chiede ai discepoli che cosa la gente pensi di lui e come lo giudichino essi stessi. Pietro risponde a nome dei Dodici con una confessione di fede, che si differenzia in modo sostanziale dall’opinione che la gente ha su Gesù; egli infatti afferma: Tu sei il Cristo di Dio (Lc 9,20). Da dove nasce questo atto di fede? Se andiamo all’inizio del brano evangelico, costatiamo che la confessione di fede di Pietro è legata ad un moneto di preghiera: “Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui”, dice san Luca (9,18). I discepoli, cioè, vengono coinvolti nell’essere e parlare assolutamente unico di Gesù con il Padre. E in tal modo viene loro concesso di vedere il Maestro nell’intimo della sua condizione di Figlio, viene loro concesso di vedere ciò che gli altri non vedono; dall’”essere con Lui”, dallo “stare con Lui” in preghiera, deriva una conoscenza che va al di là delle opinioni della gente per giungere all’identità profonda di Gesù, alla verità. Qui ci viene fornita un’indicazione ben precisa per la vita e la missione del sacerdote: nella preghiera egli è chiamato a riscoprire il volto sempre nuovo del suo Signore e il contenuto più autentico della sua missione. Solamente chi ha un rapporto intimo con il Signore viene afferrato da Lui, può portarlo agli altri, può essere inviato. Si tratta di un “rimanere con Lui” che deve accompagnare sempre l’esercizio del ministero sacerdotale; deve esserne la parte centrale, anche e soprattutto nei momenti difficili, quando sembra che le “cose da fare” debbano avere la priorità. Ovunque siamo, qualunque cosa facciamo, dobbiamo sempre “rimanere con Lui”.
Subito dopo a confessione di Pietro, Gesù annuncia la sua passione e risurrezione e fa seguire a questo annuncio un insegnamento riguardante il cammino dei discepoli, che è un seguire Lui, il Crocifisso, seguirlo sulla strada della croce. Ed aggiunge poi – con un’espressione paradossale – che l’essere discepolo significa “perdere se stesso”, ma per ritrovare pienamente se stesso (Lc 9, 22-24). Cosa significa per ogni cristiano, ma cosa significa soprattutto per un sacerdote? La sequela, ma potremmo tranquillamente dire: il sacerdozio, non può mai rappresentare un modo per raggiungere la sicurezza nella vita o per conquistarsi una posizione sociale. Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. Chi vuole soprattutto realizzare la propria ambizione, raggiungere un proprio successo sarà sempre schiavo di se stesso e dell’opinione pubblica. Per essere considerato, dovrà adulare; dovrà dire quello che piace alla gente; dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del rapporto vitale con la verità, riducendosi a condannare domani quel che avrà lodato oggi. Un uomo che imposti così la sua vita, un sacerdote che veda in questi termini il proprio ministero, non ama veramente Dio e gli altri, ma solo se stesso e, paradossalmente, finisce per perdere se stesso. Il sacerdozio – ricordiamolo sempre – si fonda sul coraggio di dire sì ad un’altra volontà, nella consapevolezza, da far crescere ogni giorno, che proprio conformandoci alla volontà di Dio, “immersi” in questa volontà, non solo non sarà cancellata la nostra originalità, ma al contrario, entreremo sempre di più nella verità del nostro essere e del nostro ministero.
Carissimi ordinandi, vorrei proporre alla vostra riflessione un terzo pensiero, strettamente collegato a quello appena esposto: l’invito di Gesù a “perdere se stesso”, a prendere la croce, richiama il mistero che stiamo celebrando: l’Eucaristia. A voi oggi, con il sacramento dell’Ordine, viene donato di presiedere l’Eucaristia! A voi è affidato il sacrificio redentore di Cristo, a voi è affidato il suo corpo dato e il suo sangue versato. Certo, Gesù offre il suo sacrificio, la sua donazione d’amore umile e totale alla Chiesa sua Sposa, sulla Croce. E’ su quel legno che il chicco di frumento lasciato cadere dal Padre sul campo del mondo muore per diventare frutto maturo, datore di vita. Ma nel disegno di Dio, questa donazione di Cristo viene resa presente nell’Eucaristia grazie a quella potestas sacra che il sacramento dell’Ordine conferisce a voi presbiteri. Quando celebriamo la Santa Messa teniamo nelle nostre mani il pane del Cielo, il pane di Dio, che è Cristo, chicco spezzato per moltiplicarsi e diventare il vero cibo della vita per il mondo.. E’ qualcosa che non vi può non riempire di intimo stupore, di viva gioia e di immensa gratitudine; ormai l’amore e il dono di Cristo crocifisso e glorioso passano attraverso le vostre mani, la vostra voce, il vostro cuore! E’ un’esperienza sempre nuova di stupore vedere che nelle mie mani, nella mia voce il Signore realizza questo mistero della Sua presenza” (Benedetto XVI, Ordinazione presbiterale dei Diaconi della diocesi di Roma, 20 giugno 2010).

Alcuni negano la distinzione tra il sacerdozio comune dei fedeli cui è finalizzato il sacerdozio ministeriale: differiscono di essenza e non soltanto di grado. Chi ragiona in questo modo parte dal presupposto che nel Nuovo Testamento i ministri non sono considerati come “persone sacre”, per concludere che questa “sacralizzazione” del ministero, o di un gruppo all’interno della Chiesa, sarebbe una sovrapposizione storica posteriore. Questa teoria non menziona che Cristo è il Sommo sacerdote della nuova alleanza (Eb 4,14 – 15; 7,26 -28; 8-9), il cui ministero è condiviso da alcuni cristiani in modo speciale, per renderlo presente sotto forma sacramentale nella Chiesa e per tutti i fedeli. La terminologia sacerdotale posteriore non avrebbe cambiato la realtà del ministero apostolico testimoniato chiaramente nel Nuovo Testamento. Qui si trovano riferimenti all’incorporazione nel ministero mediante l’imposizione delle mani (AT 14,23; 1 Tm 4,14).
La mancanza di chiarezza rispetto al ministero ordinato nella Chiesa non è estranea alla crisi vocazionale degli ultimi anni. In alcuni casi sembra addirittura che si voglia provocare un “deserto vocazionale”, così da produrre dei cambiamenti nella struttura interna della Chiesa, attendendo nuovi carismi per nuovi ministeri. Tuttavia, là dove, mantenendo la dottrina cattolica, si offrono ai giovani ambiti per l’incontro personale con Cristo nella preghiera liturgica e personale, come in vissuti fraterni di comunione ecclesiale, normalmente sorgono le vocazioni per il sacerdozio  ministeriale. E’ necessario ricordare le disposizioni magisteriali sull’uomo come unico soggetto valido dell’ordine sacramentale, perché tale è stata la volontà di Cristo nell’istituire il sacerdozio. Alcuni hanno ingiustificatamente sostenuto che questa volontà non consta nella Scrittura, ma ciò non corrisponde all’interpretazione autentica della parola di Dio scritta e trasmessa. La dottrina sull’ordinazione sacerdotale riservata agli uomini deve essere tenuta in modo definitivo, poiché “è stata proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale” (Congregazione della Fede, 28-10-1995). La comunione vera con il magistero della Chiesa dispone, oggi, su questo punto, di un criterio certo di verifica.

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