Il nemico

“Era da aspettarsi che al “nemico” questo nuovo brillare del sacerdozio non sarebbe piaciuto; egli avrebbe preferito vederlo scomparire, perché in fin dei conti Dio fosse spinto fuori dal mondo” (Benedetto XVI)

“L’Anno Sacerdotale che abbiamo celebrato, 150 anni dopo la morte del santo Curato d’Ars, modello del ministero sacerdotale del nostro mondo, volge al termine. Dal Curato d’Ars ci siamo lasciati guidare, per comprendere nuovamente la grandezza e la bellezza del ministero sacerdotale. Il sacerdote non è semplicemente il detentore di un ufficio, come quelli di cui ogni società ha bisogno affinché in essa possano essere adempiute certe funzioni. Egli invece fa qualcosa che nessun essere umano può fare da sé: pronuncia in nome di Cristo la parola dell’assoluzione dai nostri peccati e cambia così, a partire da Dio, la situazione della nostra vita. Pronuncia sulle offerte del pane e del vino le parole di ringraziamento di Cristo che sono parole di transustanziazione – parole che rendono presente Lui stesso, il Risorto, il suo Corpo e il suo Sangue, e trasformano così gli elementi del mondo: parole ch spalancano il mondo a Dio e lo congiungono a Lui. Il sacerdozio è quindi non semplicemente “ufficio”, ma sacramento: Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uomini e di agire in loro favore. Questa audacia di Dio, che ad esseri umani affida se stesso; che, pur conoscendo le nostre debolezze, ritiene degli uomini capaci di agire e di essere presenti in vece sua – questa audacia di Dio è la cosa veramente grande che si nasconde nella parola “sacerdozio”. Che Dio ci ritenga capaci di questo; che Egli in tal modo chiami uomini al suo servizio e così dal di dentro si leghi ad essi; è ciò che in quest’anno volevamo nuovamente considerare e comprendere. Volevamo risvegliare la gioia che Dio ci sia così vicino, e la gratitudine per il fatto che Egli si affidi alla nostra debolezza; che Egli ci conduca  e ci sostenga giorno per giorno. Volevamo così anche mostrare nuovamente ai giovani che questa vocazione, questa comunione al servizio per Dio e con Dio, esiste – anzi che Dio è in attesa del nostro “sì”. Insieme alla Chiesa volevamo nuovamente far notare che questa vocazione la dobbiamo chiedere a Dio. Chiediamo operai per la messe di Dio, e questa richiesta a Dio è, al tempo stesso, un bussare di Dio al cuore dei giovani che si ritengono capaci di ciò di cui Di li ritiene capaci.
Era da aspettarsi che al “nemico” questo nuovo brillare del sacerdozio non sarebbe piaciuto; egli avrebbe preferito vederlo scomparire, perché in fin die conti Dio fosse spinto fuori del mondo. E così è successo che, proprio in quest’anno di gioia per il sacramento del sacerdozio, siano venuti alla luce i peccati dei sacerdoti – soprattutto l’abuso nei confronti die piccoli, nel quale il sacerdozio come compito della premura di Dio a vantaggio dell’uomo viene volto nel suo contrario. Anche noi chiediamo insistentemente perdono a Dio e alle persone coinvolte, mentre intendiamo promettere di fare tutto il possibile affinché tale abuso non possa succedere mai più; promettere che nell’ammissione al ministero sacerdotale  e nella formazione durante il cammino di preparazione ad esso faremo tutto ciò che possiamo per vagliare l’autenticità della vocazione e che vogliamo ancora di più accompagnare i sacerdoti nel loro cammino, affinché il Signore li protegga e li custodisca in situazioni penose e nei pericoli della vita.
Se l’Anno sacerdotale avesse dovuto essere una glorificazione della nostra personale prestazione umana, sarebbe stato distrutto da queste vicende. Ma si trattava per noi proprio del contrario: il diventare grati per il dono di Dio, dono che si nasconde “in vasi di creta” e che sempre di nuovo, attraverso tutta la debolezza umana, rende concreto in questo mondo il suo amore. Così consideriamo quanto è avvenuto quale compito di purificazione, un compito che ci accompagna verso il futuro e che, tanto più, ci fa riconoscere ed amare il grande dono di Dio. In questo modo, il dono diventa l’impegno di rispondere al coraggio e all’umiltà di Dio con il nostro coraggio e la nostra umiltà” (Benedetto XVI, Omelia in occasione della conclusione dell’Anno Sacerdotale, 11 giugno 2010).

Con questa Omelia di Benedetto XVI ho rivissuto quello che il 29 giugno 1971 ho provato drammaticamente con l’omelia di Paolo VI “Resistite forte in fide”:”da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. Crediamo in qualcosa di preternaturale venuto nel mondo proprio per turbare, per soffocare i frutti del concilio ecumenico e per impedire che la Chiesa prorompesse nell’inno di gioia per aver ricevuto in pienezza la coscienza di sé”. Quale la fessura ha spinto a non accettare il Credo del Popolo di Dio del 1968?
-         in un Convegno di biblisti del 1970 si era ipotizzato che la risurrezione di Cristo non sarebbe stato un fatto avvenuto nella storia e che gli apostoli più che testimoni sarebbero i creatori di questa fede;
-         l’interpretazione di discontinuità data alla sua riforma liturgica;
-         un antropocentrismo catechetico che svuotava di contenuto ontologico la filiazione divina di Gesù, negando che nei Vangeli si affermi la preesistenza trinitaria del Figlio e considerando che Gesù non ha vissuto la sua passione e morte come missione redentrice liberamente accolta per amore, ma come fallimento. Giusto sottolineare il carattere realmente storico e concreto dell’incarnazione di Cristo, un tutt’uno però con il carattere definitivo e pieno della sua esistenza storica in relazione alla storia e alla salvezza di tutti gli uomini perché egli è Dio, la verità ultima e definitiva, svela chi è ogni uomo ed è la verità assoluta della storia e della creazione.
-         La comprensione errata dell’umanità di Cristo che procede in parallelo con gli errori sulla Vergine Maria e quindi abbandono della dimensione mariana, propria di un’autentica spiritualità cattolica.

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