Cinquantesimo di sacerdozio


Omelia per il cinquantesimo di sacerdozio

Raffaella per Domenica 27 giugno alle 11,30 presso le Ancelle della carità a Cavalcaselle, don Gaetano a nome della diaconia di Comunione e Liberazione alle 17,30 nella Chiesa del Seminario di san Massimo, Antonia martedì 29 giugno alle 19 a Betania di Bosco (Zevio) mi hanno chiesto di narrare nella celebrazione eucaristica il grazie per i cinqant’anni da quando Cristo mi ha “tirato a sé” e con l’ordinazione del 29 giugno 1960 mi ha permesso di unirmi con il suo “io”. E questo è avvenuto in tutti questi anni e si realizza anche qui e ora  nelle parole della consacrazione “questo è il mio corpo…questo è il mio sangue”. Non avrebbero senso se non fosse Lui risorto, che si fa presente, e le pronuncia attraverso il mio  “io”. E il mio “io” unito al suo
realizza la permanenza nel noi della sua Chiesa, rende attuale il sacrificio della croce, Lui unico sacerdote e rende presente per tutti voi, per il vostro sacerdozio di fedeli, per tutto il mondo la sua missione sacerdotale.
Quando ha cominciato a “tirarmi” a sé per questa vocazione sacerdotale di amore pastorale? Prima di tutto attraverso la procreazione di mamma Ermelinda e di papà Giovanni nel 1934, che mi hanno portato al Battesimo subito. “Gino quanto mi sei costato” mi confidava mia mamma, segnata fin da quando avevo quattro anni da un abbassamento di utero che l’avrebbe accompagnata per tutta la vita 97 anni, ma, aggiungeva “sono felice perché il Signore mi ha dato un bel figlio. Lo vede eccellenza – nel giorno dell’ordinazione -, come vedete nella fotografia che  riporto nel mio ricordo mentre il servo di Dio Mons. Giuseppe Carraro mi bacia le mani da lui consacrate. Prego la Madonna degli Angeli (un santuario di Cavalcaselle) che sia un buon prete e possa controllare i suoi sentimenti perché si affeziona troppo con tutti e con tutte”. Se avessi avuto l’Enciclica di Benedetto XVI avrei detto: mamma non si arriva alla meta del modo divino di amare pastoralmente non per motivo di sesso, di possesso, di successo, cioè l’agape, senza l’iniziale spinta a uscire da se stessi attraverso l’eros da vivere o nella vocazione coniugale o in quella celibataria del sacerdozio, verginale della vita consacrata.
A sei anni servivo già la Messa e un giovedì santo mi accadde un fatto che non ho più dimenticato. Don Armando Scattolini, il mio parroco di Cavalcaselle, come tutti i sacerdoti nella liturgia di allora, il giovedì santo consacravano due particole, cioè una anche per la comunione del venerdì santo che deponevano nel calice coperto e legato dal velo. Per legarlo mi chiamò sull’altare: “mamma sono andato vicino alla presenza di Dio, ho legato la presenza di Gesù nell’Eucaristia!” Per un anno intero sono stato fedelissimo  come chierichetto in attesa del prossimo giovedì santo. Ho cercato mi mettermi alla destra per essere chiamato come l’anno prima. Don Armando questa volta si girò a sinistra e io sono andato a casa piangendo. “Ginetto se vuoi avere questo dono non una volta all’anno ma ogni giorno chiedi alla Madonna degli Angeli e del Frassino la vocazione a diventare prete”. E nell’ottobre del 1946, a dodici anni sono entrato nel piccolo seminario di Bussolengo per la prima media. Venendo dalla campagna mi trovavo spaesato e don Carlo Salvalai mi disse: “Gino va a salutare la padrona del Seminario” - e indicandomi una porta - è lì dentro”. Io battei e non sentendo risposta, aprii adagio la porta e mi trovai davanti a una grande e bella immagine della Madonna con il Bambino sopra il Tabernacolo. “Ah, ho capito!”. Due presenze, due amicizie da incontrare continuamente nella preghiera e nella vita, Una per l’Altro:  Maria per Gesù che mi hanno accompagnato, sostenuto nel bellissimo tempo del Seminario, come in più malattie, ricoveri in ospedale, facendomi vivere con gioia, nella preghiera del cuore, nella fraternità, nel  canto (quanto ho cantato e fatto cantare in seminario e in parrocchia), nell’apostolato di Azione Cattolica, tutti gli anni di seminario fino all’unione sacramentale con l’”io” di Cristo nelle parole della consacrazione del 29 giugno 1960 in Cattedrale. Ma in questo momento voglio ricordare un altro avvenimento. Il 29 giugno del 1960 era martedì. Sabato tre luglio, verso le tre del pomeriggio, mi siedo nel confessionale degli uomini di Cavalcaselle per attendere di confessare i bambini. Allora i giovani preti potevano confessare il primo anno i bambini, il secondo gli uomini, il terzo le donne. E qual è il primo bambino, non certamente tale , che mi si presenta? Mio Papà. No, papà, questo mai! “Eh don Gino sono sempre andato alla quarta classe della Domenica cioè al catechismo degli adulti, so a chi mi confesso attraverso di te, che conosco bene!” Che fede, lui che per pagarmi la retta del Seminario aveva rinunciato anche alla partita della Domenica con i suoi amici. Anche nell’”io ti assolvo –perché nessuno di noi potrebbe assolvere dai peccati –è l’io  di Cristo, di Dio, che solo può assolvere.
Tra i tanti luoghi del mio ministero nel Natale del 1964 sono stato mandato rettore del Santuario della Madonna della Corona: Messe, confessioni, rosari, la Vergine Addolorata, tanti segni straordinari in persone piene di fede che salivano al santuario. Nel 1967 vengo chiamato da mons. Carraro segretario di tante commissioni, dell’ufficio pastorale, del consiglio presbiterale, pastorale, soprattutto dello Studio teologico dove divenni Direttore. Avevo studiato teologia accademica a Venegono e già lì la preoccupazione scientifica cominciò a farmi dimenticare la realtà vitale della presenza di Dio, la sua presenza tra noi, il suo parlare oggi e non solo nel passato, la presenza mediatrice di Maria, l’attenzione agli avvenimenti  dello Spirito del Risorto.  Nell’ufficio pastorale a tavolino pensavo di poter teorizzare tutto per la diocesi, prevedere tutto, programmare tutto: la Chiesa – era questa  la teologia di allora - per noi cattolici è istituzione, avvenimento per i protestanti: questo il criterio di tutte le scelte, ben diverso dalla vera teologia della coessenzialità tra istituzione e carismi, avvenimenti. E quasi senza accorgermene sono scivolato in una teologia arrogante, che vuole dominare tutto e tutti, e Dio da soggetto continuamente presente a tutti, che parla qui e ora come ci documenta che la Scrittura ha parlato allora, a oggetto da studiare, mentre è soggetto che ci parla,  ci guida, agisce nel proprio io di sacerdoti e solo questa consapevolezza riempie il cuore, la vita, la vocazione celibataria nell’amore. Nel 1972 per malattia e crisi mi ritiro a Milano e nel 1973 l’incontro con Giussani che mi ha fatto recuperare la ricchezza vissuta fin da bambino, fino all’ordinazione e nei primi anni di sacerdozio. E’ stata una studente della cattolica, dove mi ero iscritto a filosofia. Confidando a don Giussani la mia crisi: “Don Gino hai bisogno del tu di Cristo colto in un volto con un di più di umanità e di appartenere a un noi di un concreto vissuto fraterno di comunione autorevolmente guidato. Allora la tua filosofia e teologia punterà a conoscere chi ti ha amato fin dal grembo materno ottenendo una risposta meravigliosa con il tuo sentimento individuale, senza però rendertene adeguatamente conto. E’ stata l’anima di chierichetto, di apostolo nell’Azione Cattolica, di catechista, di seminarista, di chierico, di sacerdote. E questa è la vera teologia, che viene dall’amore di Dio, di Cristo e vuole entrare profondamente in comunione con Cristo che si incontra. Da quello che mi ha raccontato Letizia la teologia accademica di Venegono, soprattutto quella dello studio teologico con tutta l’esegesi critica ti ha fatto conoscere il Gesù storico di allora, da imitare con un moralismo impossibile non può renderti felice. Occorre l’avvenimento di incontrarLo oggi Gesù Cristo Risorto nella via umana dei suoi nella Chiesa, in un vissuto, in una appartenenza concreta. Vieni alal scuola di comunità”. E’ stata una conversione, un orizzonte nuovo che continuo ad approfondire ogni giorno di più. Il servo di Dio Giuseppe Carraro ha avuto Lui pure il dono, l’avvenimento dell’incontro con Gioventù Studentesca e nel 1976 mi ha coinvolto nella fondazione del Centro diocesano Giuseppe Toniolo per la promozione della cultura cristiana. Alla Stella Alpina di Spiazzi mi ha detto di presentare le linee ai sacerdoti, ma senza alcun riferimento a Comunione e Liberazione. C’era don Gaetano e a un certo punto scoppiò: “Ma questa è Comunione e Liberazione”. “Questa è la linea della nostra diocesi”, precisò mons. Carraro. “All’inizio dell’essere cristiano – e quindi all’origine della nostra testimonianza di credenti, di sacerdoti – non c’è una decisione etica o una grande idea – come ho scritto nell’Enciclica Deus Caritas est disse Benedetto XVI a Verona per tutta la Chiesa -, ma l’incontro con la Persona di Gesù Cristo, “che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (n.1). Questo è ciò che vivo con gioia  oggi pienamente consapevole, ma che Lui mi ha fatto vivere fin da bambino.

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