Celibato

Nell’orizzonte dell’amore celibatario che fa vivere il futuro di tutti già al presente accade  l’unione con l’”io” di Cristo risorto che si realizza nelle parole della consacrazione e della assoluzione

“Padre Santo, sono don Karol Miklosko…quando dico:(Io ti assolvo…Questo è il mio corpo….questo è il mio sangue” dato e versato in sacrificio per voi, allora capisco la bellezza del celibato e dell’obbedienza, che ho liberamente promesso al momento dell’ordinazione. Pur con le naturali difficoltà, il celibato mi sembra ovvio, guardando Cristo, ma mi trovo frastornato nel leggere tante critiche mondane a questo dono. Le chiedo umilmente, Padre Santo, di illuminarci sulla profondità e sul senso autentico del celibato ecclesiastico”.

“Grazie per le due parti della sua domanda:
-         la prima, dove mostra il fondamento permanente e vitale del nostro celibato;
-         la seconda che mostra tutte le difficoltà nelle quali ci troviamo nel nostro tempo.
Importante è la prima parte, cioè: centro della nostra vita deve realmente essere la celebrazione quotidiana della Santa Eucaristia; e qui sono centrali le parole della consacrazione: “Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue”; cioè: parliamo “in persona Christi”. Cristo ci permette di usare il suo “io”, parliamo nell’”io” di Cristo. Cristo ci “tira in sé” e ci permette di unirci, ci unisce con il suo “io”. E così, tramite questa sua azione, questo fatto che Egli ci “tira” in se stesso, in modo che il nostro “io” diventa unito al suo, realizza la permanenza, l’unicità del suo sacerdozio; così Lui è realmente sempre l’unico Sacerdote, e tuttavia molto presente nel mondo, perché “tira” noi in se stesso e così rende presente la sua missione sacerdotale. Questo vuol dire che siamo “tirati” nel Dio di Cristo. È questa unione con il suo “io” che si realizza nelle parole della consacrazione. Anche nell’”io ti assolvo” – perché nessuno di noi potrebbe assolvere dai peccati – è l’”io” di Cristo, di Dio, che solo può assolvere. Questa unificazione del suo “io” con il nostro implica che siamo “tirati” anche nella sua realtà di Risorto, andiamo verso la vita piena della risurrezione, della quale Gesù parla ai Sadducei in Matteo, capitolo 22; è una vita “nuova”, nella quale già siamo oltre il matrimonio (Mt 22,23n – 32). E’ importante che ci lasciamo sempre di nuovo penetrare da questa identificazione dell’”io” di Cristo con noi, da questo essere “tirati fuori” verso il mondo della risurrezione, verso la novità di Cristo, verso la nuova e vera vita. Quindi, il celibato è un’anticipazione resa possibile dalla grazia del Signore che ci “tira” a sé verso il mondo della risurrezione; ci invita sempre di nuovo a trascendere noi stessi, questo presente, verso il vero presente del futuro, che diventa presente oggi. E qui siamo ad un punto molto importante. Un grande problema della cristianità del mondo di oggi è che non si pensa più al futuro di Dio: sembra sufficiente solo il presente di questo mondo. Vogliamo avere solo questo mondo, vivere solo in questo mondo. Così chiudiamo le porte alla vera grandezza della nostra esistenza. Il senso del celibato come anticipazione del futuro è proprio aprire queste porte, rendere più grande il mondo, mostrare la realtà del futuro che va vissuto da noi già come presente. Vivere, quindi, così in una testimonianza della fede: crediamo realmente che Dio c’è, che Dio c’entra nella mia vita, che possa fondare la mia vita su Cristo, sulla vita futura.
E conosciamo adesso le critiche mondane delle quali lei ha parlato. E’ vero che per il mondo agnostico, il mondo in cui Dio non c’entra, il celibato è un grande scandalo, perché mostra che Dio è considerato e vissuto come realtà. Con la vita escatologica del celibato, il mondo futuro di Dio entra nella realtà del nostro tempo. E questo dovrebbe scomparire! In un certo senso, può sorprendere questa critica permanente contro il celibato, in un tempo nel quale diventa sempre più di moda non sposarsi: Ma questo non – sposarsi è una cosa totalmente, fondamentalmente diversa dal celibato, perché il non sposarsi è basato sulla volontà di vivere solo per se stessi, di non accettare alcun vincolo definitivo, di avere la vita in ogni momento in una piena autonomia, decidere in ogni momento come fare, cosa prendere dalla vita; e quindi un “no” al vincolo, un “no” alla definitività, un avere la vita solo per se stessi. Mentre il celibato è proprio il contrario: è un “sì” definitivo, è un lasciarsi prendere in mano da Dio, darsi nelle mani del Signore, nel suo “io”, e quindi è un atto di fedeltà e di fiducia, un atto che suppone anche la fedeltà del matrimonio; è proprio il contrario di questo “no”, di questa autonomia  che non vuole obbligarsi, che non vuole entrare in un vincolo; è proprio il “sì” definitivo che suppone, conferma il “sì” definitivo del matrimonio. E questo matrimonio è la forma biblica, la forma naturale dell’essere uomo e donna, fondamento della grande cultura cristiana, di grandi culture del mondo. E se scompare questo, andrà distrutta la radice della nostra cultura. Perciò il celibato conferma il “sì” del matrimonio con il suo “sì” al mondo futuro, e così vogliamo andare avanti e rendere presente questo scandalo di una fede che pone tutta l’esistenza su Dio. Sappiamo che accanto a questo scandalo, che il mondo non vuol vedere, ci sono anche gli scandali  secondari delle nostre insufficienze, dei nostri peccati, che oscurano il vero e grande scandalo, e fanno pensare: “Ma, non vivono realmente sul fondamento di Dio!”. Ma c’è tanta fedeltà! Il celibato, proprio le critiche lo mostrano, è un grande segno della fede, della speranza di Dio nel mondo. Preghiamo il Signore perché ci aiuti a renderci liberi dagli scandali secondari, perché renda presente il grande scandalo della nostra fede: la fiducia, la forza della nostra vita, che si fonda in Dio e in Cristo Gesù!

L’esperienza di fede di essere già nella realtà del Risorto fin dal Battesimo, di andare verso la vita veramente vita della risurrezione, la certezza che il celibato, la verginità è una anticipazione del cielo cui tutti siamo destinati resa possibile dalla grazia del Signore, è costitutiva della condizione del cristiano. Siamo cristiani precisamente per la fede nella risurrezione di Cristo, principio e causa della nostra stessa risurrezione (1 Cor 15,21). Quando seminiamo dubbi ed errori rispetto alla fede della Chiesa nella venuta del Signore nella gloria alla fine dei tempi, rispetto alla risurrezione della carne, al giudizio particolare e finale, al purgatorio, alla possibilità reale di non desiderare più la verità cioè Dio e non essere più disponibili al bene, all’amore (inferno) o all’eterna beatitudine del paradiso, si incide negativamente sulla vita cristiana di tutti coloro che sono ancora pellegrini su questa terra, perché si resta allora “nell’ignoranza di quelli che sono morti” e si cade nella tristezza di quanti non hanno speranza (1 Ts 4,13). Il silenzio su queste verità della nostra fede, nell’ambito della predicazione e della catechesi, è causa non solo di disorientamento tra i fedeli che esperimentano nella propria esistenza le conseguenze della scissione tra quello in cui si crede e quello che si celebra per viverlo  e  pregarlo e non è possibile la vita come vocazione.

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