L'autorità del Papa
Anche il Papa – punto di riferimento di tutti gli altri Pastori e della comunione della Chiesa – non può fare quello che vuole ma precedere nell’obbedienza a Cristo e alla sua Chiesa
“Negli ultimi decenni, si è spesso utilizzato l’aggettivo “pastorale” quasi in opposizione al concetto “gerarchico”, così come, nella medesima contrapposizione, è stata interpretata anche l’idea di “comunione”. E’ forse questo il punto dove può essere utile una breve osservazione sulla parola “gerarchia”, che è la designazione tradizionale della struttura di autorità sacramentale nella Chiesa, ordinata secondo i tre livelli del Sacramento dell’Ordine: episcopato, presbiterato, diaconato. Nell’opinione pubblica prevale, per questa realtà ”gerarchica”, l’elemento di subordinazione e l’elemento giuridico; perciò a molti l’idea di gerarchia appare in contrasto con la flessibilità e la vitalità del senso pastorale e anche contraria all’umiltà del Vangelo. Ma questo è un male inteso senso della gerarchia, storicamente anche causato da abusi di autorità e di carrierismo, che sono appunto abusi e non derivano dall’essere stesso della realtà “gerarchia”. L’opinione comune è che “gerarchia” sia sempre qualcosa di legato al dominio e così non corrispondente al vero senso della Chiesa, dell’unità nell’amore di Cristo. Ma, come ho detto, questa è un interpretazione sbagliata, che ha origine in abusi della storia, ma non risponde al vero significato di quello che è la gerarchia., che ha origine in abusi della storia, ma non risponde al vero significato di quello che è la gerarchia. Cominciamo con la parola. Generalmente, si dice che il significato della parola gerarchia sarebbe “sacro dominio”, ma il vero significato non è questo, è “sacra origine” cioè: questa autorità non viene dall’uomo, ma ha origine nel sacro, nel Sacramento; sottomette quindi la persona alla vocazione, al mistero di Cristo; fa del singolo un servitore di Cristo e solo in quanto servo di Cristo questi può governare, guidare per Cristo e con Cristo. Perciò chi entra nel sacro Ordine del Sacramento, la “gerarchia”, non è un autocrate, ma entra in un legame nuovo di obbedienza a Cristo: è legato a Lui in comunione con gli altri membri del sacro Ordine, del Sacerdozio. E anche il Papa – punto di riferimento di tutti gli altri Pastori e della comunione della Chiesa – non può fare quello che vuole; al contrario, il Papa è custode dell’obbedienza a Cristo, alla sua parola riassunta nella “regula fidei”, nel Credo della Chiesa, e deve precedere nell’obbedienza a Cristo e alla sua Chiesa. Gerarchia implica quindi un triplice legame: quello, innanzitutto, con Cristo e l’ordine dato dal Signore alla sua Chiesa; poi il legame con gli altri Pastori nell’unica comunione della Chiesa; e, infine, il legame con i fedeli affidati al singolo, nell’ordine della Chiesa.
Quindi, si capisce che comunione e gerarchia non sono contrarie l’una all’altra, ma si condizionano. Sono insieme una cosa sola (comunione gerarchica). Il Pastore è quindi tale proprio guidando e custodendo il gregge, e talora impedendo che esso si disperda. Al di fuori di una visione chiaramente ed esplicitamente soprannaturale, non è comprensibile il compito di governare proprio dei sacerdoti. Esso, invece, sostenuto dal vero amore per la salvezza di ciascun fedele, è particolarmente prezioso e necessario anche nel nostro tempo. Se il fine è portare l’annuncio di Cristo e condurre gli uomini all’incontro salvifico con Lui perché abbiano la vita, il compito di guidare si configura come un servizio vissuto in una donazione totale per l’edificazione del gregge nella verità e nella santità, spesso andando contro corrente e ricordando che chi è il più grande si deve fare come il più piccolo, e colui che governa, come colui che serve (LG, 27).
Dove può attingere oggi un sacerdote la forza per tale esercizio del proprio ministero, nella piena fedeltà a Cristo e alla Chiesa, con una dedizione totale al gregge? La risposta è una sola: in Cristo Signore. Il modo di governare di Gesù non è quello del dominio, ma è l’umile ed amoroso servizio della Lavanda dei piedi e la regalità di Cristo sull’universo non è un trionfo terreno, ma trova il suo culmine sul legno della Croce, che diventa giudizio per il mondo e punto di riferimento per l’esercizio dell’autorità che sia vera espressione della carità pastorale. I santi, e tra essi Giovanni Maria Vianney, hanno esercitato con amore e dedizione il compito di curare la porzione del Popolo di Dio loro affidata, mostrando anche di essere uomini forti e determinati, con l’unico obiettivo di promuovere il vero bene delle anime, capaci di pagare di persona, fino al martirio, per rimanere fedeli alla verità e alla giustizia del Vangelo.
Cari sacerdoti, “pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri…., facendovi modelli del gregge” (1 Pt 5,2). Dunque, non abbiate paura di guidare a Cristo ciascuno dei fratelli che Egli vi ha affidati, sicuri che ogni parola ed ogni atteggiamento, se discendono dall’obbedienza alla volontà di Dio, porteranno frutto; sappiate vivere apprezzando i pregi e riconoscendo i limiti della cultura in cui siamo inserirti, con la ferma certezza che l’annuncio del Vangelo è il maggiore servizio che si può fare all’uomo. Non c’è infatti, bene più grande, in questa vita terrena, che condurre gli uomini a Dio, risvegliare la fede, sollevare l’uomo dall’inerzia e dalla disperazione, dare speranza che Dio è vicino e guida la storia personale e del mondo: questo, in definitiva, è il senso profondo ed ultimo del governare che il Signore ci ha affidato. Si tratta di formare Cristiani credenti, attraverso quel processo di santificazione che è conversione dei criteri, della scala dei valori, degli atteggiamenti, per lasciare che Cristo viva in ogni fedele. San Paolo così riassume la sua azione pastorale: “figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi” (Gal 4,19).
Cari fratelli e sorelle, vorrei invitarvi a pregare per me, Successore di Pietro, che ho uno specifico compito di governare la Chiesa di Cristo, come per tutti i vostri Vescovi e sacerdoti. Pregate perché sappiamo prenderci cura di tutte le pecore, anche quelle smarrite, del gregge a noi affiato. A voi, cari sacerdoti, rivolgo il cordiale invito alle Celebrazioni conclusive dell’Anno sacerdotale, il prossimo 9, 10 e 11 giugno qui a Roma: mediteremo sulla conversione e sulla missione, sul dono dello Spirito santo e sul rapporto con Maria Santissima, e rinnoveremo le promesse sacerdotali, sostenuti da tutto il Popolo di Dio” ( Benedetto XVI, Udienza Generale, 26 maggio 2010).
Una fede non pensata, peggio ancora deformata, è una fede nulla e l’intervento di Benedetto XVI è un dono grande. Alcuni autori hanno difeso e diffondono concezioni erronee sul ministero ordinato nella Chiesa. Tramite l’applicazione di un metodo esegetico scorretto, hanno separato Cristo dalla Chiesa, come se non fosse nella volontà di Gesù fondare la sua Chiesa. Una volta rotto il vincolo tra la volontà di Cristo e la Chiesa, si cerca l’origine della costituzione gerarchica della Chiesa in ragioni puramente umane, frutto di mere congiunture storiche che hanno fatto della subordinazione e dell’elemento giuridico la priorità, causando abusi e carrierismo. S’interpreta così la testimonianza biblica sulla base di presupposti ideologici, selezionando alcuni testi ed elementi dimenticandone altri. Si parla di “modelli di Chiesa” che sarebbero presenti nel Nuovo testamento: di fronte alla Chiesa delle origini, “caratterizzata dal discepolato e dal carisma”. Libera da vincoli, sarebbe nata poi la Chiesa “istituzionale e gerarchica”. Il modello di Chiesa “gerarchica, legale, piramidale”, sorto successivamente, sarebbe distante dalle affermazioni neotestamentarie, che pongono l’accento sulla comunità e pluralità dei carismi e ministeri, così come sulla fraternità cristiana, intesa nel suo complesso come sacerdotale e consacrata. Questo modo, come ha ben chiarito Benedetto XVI, di presentare la Chiesa non ha fondamento reale nella Sacra Scrittura né nella tradizione ecclesiale e deforma gravemente il disegno di Dio sul corpo di Cristo che è la Chiesa, sul senso originario di gerarchia, portando i fedeli su posizioni di scontro dialettico. In quest’ottica, la ricchezza di carismi e ministeri suscitati dallo Spirito santo non si considera a favore del bene comune (1 Cor 12,4-12), bensì espressione di soluzioni umane che rispondono più a lotte di potere che alla volontà positiva del Signore che pur onnipotente non costringe mai con la sua autorità finalizzata al servizio di far crescere ogni persona nella consapevolezza del suo amore.
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