Il compito di santificare
I sacerdoti vivono con gioia e amore la Liturgia e il culto: è azione che il Risorto compie nella potenza dello Spirito Santo in noi, con noi e per noi
“E’ importante promuovere una catechesi adeguata per aiutare i fedeli a comprendere il valore dei Sacramenti, ma è altrettanto necessario, sull’esempio del Santo Curato d’Ars, essere disponibili, generosi e attenti nel donare ai fratelli i tesori di grazia che Dio ha posto nelle nostre mani, e dei quali non siamo i “padroni”, ma custodi ed amministratori. Soprattutto in questo nostro tempo, nel quale, da un lato, sembra che la fede vada indebolendosi e, dall’altro, emergono un profondo bisogno e una diffusa ricerca di spiritualità, è necessario che ogni sacerdote ricordi che nella sua missione l’annuncio missionario e il culto e i sacramenti non sono mai separati e promuova una sana pastorale sacramentale, per formare il Popolo di Dio e aiutarlo a vivere in pienezza la Liturgia, il culto della Chiesa, i Sacramenti come doni gratuiti di Dio, atti liberi ed efficaci della sua azione di salvezza.
Come ricordavo nella santa Messa Crismale di quest’anno: “Centro del culto della Chiesa è il Sacramento. Sacramento significa che in primo luogo non siamo noi a fare qualcosa, ma Dio in anticipo ci viene incontro con il suo agire, ci guarda e ci conduce verso di Sé. (…) Dio ci tocca per mezzo delle realtà materiali (…) che Egli assume al suo esercizio, facendone strumenti dell’incontro tra noi e Lui stesso” (S. Messa Crismale, 1 aprile 2010). La verità secondo la quale nel Sacramento “non siamo noi a fare qualcosa” riguarda, e deve riguardare, anche la coscienza sacerdotale: ciascun presbitero sa bene di essere strumento necessario dell’agire salvifico di Dio, ma pur sempre strumento. Tale coscienza deve rendere umili e generosi nell’amministrazione dei Sacramenti, nel rispetto delle norme canoniche, ma anche nella profonda convinzione che la propria missione è far sì che tutti gli uomini, uniti a Cristo, possano offrirsi a Dio come ostia viva e santa a Lui gradita (Rm 12,1). Esemplare, circa il primato del munus sanctificandi e della giusta interpretazione della pastorale sacramentale, è ancora Giovanni Maria Vianney, il quale un giorno, di fronte ad un uomo che diceva di non aver fede e desiderava discutere con lui, il parroco rispose: “Oh! Amico mio, v’indirizzate assai male, io non so ragionare…ma se avete bisogno di qualche consolazione, mettetevi là… (il suo dito indica l’inesorabile sgabello del confessionale) e credetemi, che molti altri vi si sono messi prima di voi, e non ebbero a pentirsene” (Monnin A.,pp. 163 – 164).
Cari Sacerdoti, vivete con gioia e con amore la Liturgia e il culto: è azione che il Risorto compie nella potenza dello Spirito Santo in noi, con noi e per noi. Vorrei rinnovare l’invito fatto recentemente a “tornare al confessionale, come luogo nel quale celebrare il sacramento della Riconciliazione, ma anche come luogo in cui ‘abitare’ più spesso, perché il fedele possa trovare misericordia, consiglio e conforto, sentirsi amato e compreso da Dio e sperimentare la presenza della Misericordia Divina, accanto alla Presenza reale dell’Eucaristia” (Discorso alla Penitenzieria Apostolica, 11 marzo 2010). E vorrei anche invitare ogni sacerdote a celebrare e vivere con intensità l’Eucaristia, che è nel cuore del compito di santificare; è Gesù che vuole stare con noi, vivere in noi, donarci se stesso, mostrarci l’infinita misericordia e tenerezza di Dio: è l’unico Sacrificio di amore di Cristo che si rende presente, si realizza tra di noi e giunge fino al trono della Grazia, alla presenza di Dio, abbraccia l’umanità e ci unisce a Lui (Discorso al Clero di Roma, 18 febbraio 2010). E il sacerdote è chiamato ad essere ministro di questo grande Mistero, nel Sacramento e nella vita. Se “la grande tradizione ecclesiale ha giustamente svincolato l’efficacia sacramentale dalla concreta situazione esistenziale del singolo sacerdote, e così le legittime attese dei fedeli sono adeguatamente salvaguardate”, ciò non toglie nulla “alla necessaria, anzi indispensabile tensione verso la perfezione morale, che deve abitare ogni cuore autenticamente sacerdotale”: c’è anche l’esempio di fede e di testimonianza di santità, che il Popolo di Dio si attende giustamente dai suoi Pastori (Benedetto XVI, Discorso alla Plenaria della Congregazione per il Clero,16 marzo 2009). Ed è nella celebrazione dei Santi Misteri che il sacerdote trova la radice della sua santificazione (PO 12 – 13)” (Benedetto XVI, Udienza Generale, 5 maggio 2010).
Quanto pastoralmente è stato equivoco il discorso che sarebbe necessario superare un pastorale meramente sacramentale come se l’incontro con il Risorto potesse avvenire attraverso una illuminazione puramente interiore, pur necessaria, occasionata dalla predicazione di un messaggio senza la mediazione sacramentale della Chiesa, sena la “materialità” dei segni sacramentali e il di più di umanità di volti “carnali” che rendono ragionevole credere. La bontà racchiusa in questa umiliazione del Risorto, come nell’incarnazione in una vita biologica uguale alla nostra, non finisce mai di commuoverci e di stupirci, a causa della condiscendenza che Egli, il Vivente, il Presente, dimostra nei nostri confronti, tenendo presente la nostra costituzione corporeo – spirituale.
Che le cose che possono essere vedute solamente nel cuore cioè la vita del Risorto venissero vedute anche dagli occhi nei segni sacramentali della sua presenza: questa è precisamente la logica dell’Incarnazione che continua nel mistero della Chiesa, senza la quale la presenza del Signore risorto si ridurrebbe ad un essere ideale, un personaggio del passato di cui resta viva la dottrina ed esemplare la vita, e non una persona reale, concreta, incapace quindi di salvarci. All’inizio della consapevolezza dell’essere cristiani non c’è una grande idea o un’etica, una morale, ma l’avvenimento dell’incontro con Lui, che provoca un orizzonte nuovo e una decisa direzione di vita.
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