Fatima, ancora
Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa
“Sorelle e fratelli tanto amati, anch’io sono venuto come pellegrino a Fatima, a questa “casa” che Maria ha scelto per parlare a noi nei tempi moderni. Sono venuto a Fatima per gioire della presenza di Maria e della sua materna protezione. Sono venuto a Fatima, perché verso questo luogo converge oggi la Chiesa pellegrinante, voluta dal Figlio suo quale strumento di evangelizzazione e sacramento di salvezza. Sono venuto a Fatima per pregare, con Maria e con tanti pellegrini, per la nostra umanità afflitta da miserie e sofferenze. Infine, sono venuto a Fatima, con gli stessi sentimenti dei Beati Francesco e Giacinta e della serva di Dio Lucia, per affidare alla Madonna l’intima confessione che “amo”, che la Chiesa, che i sacerdoti “amano” Gesù e desiderano tenere fissi gli occhi in Lui, mentre si conclude quest’Anno Sacerdotale, e per affidare alla materna protezione di Maria i sacerdoti, i consacrati e le consacrate, i missionari e tutti gli operatori di bene che rendono accogliente e benefica la Casa di Dio…
Si! Il Signore, la nostra grande speranza, è con noi; nel suo amore misericordioso, offre un futuro al suo popolo: un futuro di comunione con sé. Avendo sperimentato la misericordia e la consolazione di Dio che non lo aveva abbandonato lungo il faticoso cammino di ritorno dall’esilio di Babilonia, il popolo di Dio esclama: “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio” (Is 61,10). Figlia eccelsa di questo popolo è la Vergine Madre di Nazareth, la quale, rivestita di grazia e dolcemente sorpresa per la gestazione di Dio che si veniva compiendo nel suo grembo, fa ugualmente propria questa gioia e questa speranza nel cantico del Magnificat: “Il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore”. Nel frattempo Ella non si vide come una privilegiata in mezzo a un popolo sterile, anzi profetizza per loro le dolci gioie di una prodigiosa maternità di Dio, perché “di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono” (Lc 1,47.50).
Ne è prova questo luogo benedetto. Tra sette anni ritornerete qui per celebrare il centenario della prima visita fatta dalla Signora “venuta dal Cielo”, come Maestra che introduce i piccoli veggenti nell’intima conoscenza dell’Amore trinitario e li porta ad assaporare Dio stesso come la cosa più bella dell’esistenza umana. Un’esperienza di grazia che li ha fatti diventare innamorati di Dio in Gesù, al punto che Giacinta esclamava: “Mi piace tanto dire a Gesù che lo amo! Quando Glielo dico molte volte, mi sembra di avere un fuoco nel petto, ma non mi brucio”. E Francesco diceva: “Quel che m’è piaciuto più di tutto, fu di vedere Nostro Signore in quella luce che la nostra Madre ci mise nel petto. Voglio tanto bene a Dio!” (Memorie di Suo Lucia, I, 42 e126)…
Quella Luce nell’intimo dei Pastorelli, che proviene dal futuro di Dio, èla stessa che siè manifestata nella pienezza dei tempi ed è venuta per tutti: il Figliodi Dio fatto uomo. Che Egli abbia il potere di infiammare i cuori più freddi e tristi, lo vediamo nei discepoli di Emmaus (Lc 24,32). Perciò la nostra speranza ha fondamento reale, poggia su un evento che si colloca nella storia e al tempo stesso la supera: è Gesù di Nazareth. E l’entusiasmo suscitato dalla sua saggezza e dalal sua potenza salvifica nella gente di allora era tale che una donna in mezzo alla moltitudine esclama: “Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato”. Tuttavia Gesù rispose: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!” (Lc 11,27.28). Ma chi ha tempo per ascoltare la sua parola e lasciarsi affascinare adl suo amore? Chi veglia, nella notet del dubbio e dell’incertezza, con il cuore desto in preghiera? Chi aspetta l’alba del nuovo giorno, tenendo accesa la fiamma della fede? La fede in Dio apre all’uomo l’orizzonte di una speranza certa che non delude; indica un solido fondamento sul quale poggiare, senza paura, la propria vita; richiede l’abbandono, pieno di fiducia, nelel mani dell’more che sotiene il mondo.
“Sarà famosa tra le genti la loro stirpe, …essi sono la stirpe benedetta dal Signore (Is 61,9) con una speranza incrollabile e che fruttifica in un amore che si scarifica per gli altri ma non sacrifica gli altri; anzi “tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13,7). Di ciò sono esempio e stimolo i Pastorelli, che hanno fatto della loro vita un’offerta a Dio e una condivisione con gli altri per amore di Dio. La Madonna li ha aiutati ad aprire il cuore all’universalità dell’amore. In particolare la beata Giacinta si mostrava instancabile nella condivisione con i poveri e nel sacrificio per la conversione dei peccatori. Soltanto con questo amore di fraternità e di condivisione riusciremo ad edificare la civiltà dell’Amore e della Pace.
Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa. Qui rivive quel disegno di Dio che interpella l’umanità sin dai suoi primordi? “Dov’è Abele, tuo fratello? …La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!” (Gen 4,9). L’uomo ha potuto scatenare un ciclo di morte e di terrore, ma non riesce a interromperlo…Nella Sacra Scrittura appare frequentemente che Dio sia alla ricerca di giusti per salvare la città degli uomini e lo stesso fa qui, in Fatima, quando la Madonna domanda: “Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, in atto di riparazione per i peccati con cui Egli è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori?” (Memorie di Suor Lucia, I, 162).
Con la famiglia umana pronta a sacrificare i suoi legami più santi sull’altare di gretti egoismi di nazione, razza, ideologia, gruppo, individuo, è venuta dal Cielo la nostra Madre benedetta offrendosi per trapiantare nel cuore di quanti le si affidano l’Amore di Dio che arde nel suo. In quel tempo erano soltanto tre, il cui esempio di vita si è diffuso e moltiplicato in gruppi innumerevoli per l’intera superficie della terra, in particolare al passaggio della Vergine Pellegrina, i quali si sono dedicati alla causa della solidarietà fraterna. Possano questi sette anni che ci separano dal centenario delle Apparizioni affrettare il preannuncio trionfo del Cuore Immacolato di Maria a gloria della Santissima Trinità” (Benedetto XVI, Omelia Santuario di Fatima, 13 maggio 2010).
“Faceva parte di una forma di devozione, oggi forse meno praticata, ma non molto tempo fa ancora assai diffusa – scrive Benedetto XVI in Spe salvi, n. 40 -, il pensiero di poter “offrire” le piccole fatiche quotidiane, che ci colpiscono sempre di nuovo come punzecchiature più o meno fastidiose, conferendo così ad esse un senso. In questa devozione c’erano senz’altro cose esagerate e forse anche malsane, ma bisogna domandarsi se non vi era contenuto in qualche modo qualcosa di essenziale che potrebbe essere di aiuto. Che cosa vuol dire “offrire”? Queste persone erano convinte di poter inserire nel grande com – patire di Cristo le loro piccole fatiche, che così entravano a far parte in qualche modo del tesoro di compassione di cui il genere umano ha bisogno. In questa maniera anche le piccole seccature del quotidiano potrebbero acquistare un senso e contribuire all’economia del bene, dell’amore tra gli uomini. Forse dovremmo davvero chiederci se una tale cosa non potrebbe ridiventare una prospettiva sensata anche per noi”. E’ quello che hanno testimoniato i Tre di Fatima in risposta alla Madonna quando domanda: “Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, in atto di riparazione per i peccati con cui Egli è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori?” Non è che Dio mandi le sofferenze, ma non può costringere perché è amore e quindi non può impedire che accadano da parte di esseri libeir sofferenze come il Figlio che si è lasciato uccidere per amore senza soccombere perché l’amore non finisce mai.
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