Oltre la ragione
L’amore si estende oltre la ragione, vede di più, entra più profondamente nel mistero di Dio, nella verità
“Lo Pseudo – Dionigi parla di nove ordini degli angeli, i cui nomi aveva trovato nella Scrittura e poi aveva sistemato a suo modo, dagli angeli semplici fino ai serafini. San Bonaventura interpreta questi ordini degli angeli come gradini nell’avvicinamento della creatura a Dio. Così essi possono rappresentare il cammino umano, la salita verso la comunione con Dio. Per san Bonaventura non c’è alcun dubbio: san Francesco d’Assisi apparteneva all’ordine serafico, sul supremo ordine, al coro dei serafini, cioè: era puro fuoco di amore. E così avrebbero dovuto essere i francescani. Ma san Bonaventura sapeva bene che questo ultimo grado di avvicinamento a Dio non può essere inserito in un ordinamento giuridico, ma è sempre un dono particolare di Dio. Per questo la struttura dell’Ordine francescano è più modesta, più realista, ma deve, però, aiutare i membri ad avvicinarsi sempre più ad un’esistenza serafica di puro amore. …Questa è la sintesi tra realismo sobrio e radicalità evangelica nel pensiero e nell’agire di san Bonaventura.
San Bonaventura, però, ha trovato negli scritti dello Pseudo – Dionigi un altro elemento, per lui ancora più importante. Mentre per sant’Agostino l’intellectus, il vedere con la ragione ed il cuore, è l’ultima categoria della conoscenza, lo Pseudo – Dionigi fa ancora un altro passo: nella salita verso Dio si può arrivare ad un punto in cui la ragione non vede più. Ma nella notte dell’intelletto l’amore vede ancora – vede quanto rimane inaccessibile per la ragione. L’amore si estende oltre la ragione, vede di più, entra più profondamente nel mistero di Dio. San Bonaventura fu affascinato da questa visione, che s’incontrava con la spiritualità francescana. Proprio nella notte oscura della Croce appare tutta la grandezza dell’amore divino; dove la ragione non vede più, vede l’amore. Le parole conclusive del suo “Itinerario della mente in Dio”, ad una lettura superficiale, possono apparire come espressione esagerata di una devozione senza contenuto; lette, invece, alla luce della teologia della Croce di san Bonaventura esse sono un’espressione limpida e realistica della spiritualità francescana: “Se ora brami sapere come ciò avvenga (cioè la salita verso Dio), interroga la grazia, non la dottrina; il desiderio, non l’intelletto; il gemito della preghiera, non lo studio della lettera;…non la luce, ma il fuoco che tutto infiamma e trasporta in Dio” (VII,6). Tutto questo non è anti – intellettuale e non è anti - razionale: suppone il cammino della ragione, ma lo trascende nell’amore del Cristo crocifisso. Con questa trasformazione della mistica dello Pseudo – Dionigi, san Bonaventura si pone agli inizi di una grande corrente mistica, che ha moto elevato e purificato la mete umana: è un vertice nella storia dello spirito umano.
Questa teologia della Croce, nata dall’incontro tra la teologia dello Pseudo – Dionigi e la spiritualità francescana, non ci deve far dimenticare che san Bonaventura condivide con san Francesco d’Assisi anche l’amore per il creato, la gioia per la bellezza della creazione di Dio. Cito su questo punto una frase del primo capitolo dell’”Itinerario”: “Colui…che non vede gli splendori innumerevoli delle creatura, è cieco; colui che non si sveglia per le tante voci, è sordo; colui che per tutte queste meraviglie non loda Dio, è muto; colui che da tanti segni non si innalza al primo principio, è stolto” (I, 15). Tutta la creazione parla ad alta voce di Dio, del Dio buono e bello; del suo amore.
Tutta la nostra vita è quindi per san Bonaventura un “itinerario”, un pellegrinaggio – una salita verso Dio. Ma con le nostre sole forze non possiamo salire verso l’altezza di Dio. Dio steso deve aiutarci, deve “tirarci” in alto. Perciò è necessaria la preghiera. La preghiera – così dice il Santo – è la madre e l’origine della elevazione, azione che ci porta in alto – dice Bonaventura. Concludo perciò con la preghiera, con la quale comincia il suo “Itinerario”: “Preghiamo dunque e diciamo al Signore Dio nostro: ‘Conducimi, Signore, nella tua via e io camminerò nella tua verità. Si rallegri il mio cuore nel temere il tuo nome” (I,1)” ( Benedetto XVI, Udienza Generale, 17 marzo 2010).
E’ evidente che l’accento specifico della teologia di san Bonaventura si spiega a partire dal carisma francescano: il Poverello di Assisi, al di là dei vivaci dibattutiti intellettuali del suo tempo, aveva mostrato con tutta la sua vita il primato dell’amore a cominciare dalle creature nel loro essere dono del Donatore divino; Francesco, mosso dallo Spirito, era un’icona vivente e innamorata del Crocefisso risorto, del Vivente e così ha ravvivato la consapevolezza, nel suo tempo, della presenza del Signore che gli parlava, ha convinto i suoi contemporanei più che con le sue parole, con la sua vita. In tutte le opere di san Bonaventura, proprio anche le opere con una argomentazione scientifica, di scuola, è evidente l’esperienza, l’ispirazione francescana; si nota, cioè come è proprio dei grandi teologi, che egli argomenta partendo dall’incontro, dall’amore con Cristo del Poverello d’Assisi. E così ha elaborato, rifacendosi agli scritti del cosiddetto Pseudo – Dionigi, una teologia liturgica e una teologia mistica. Al tempo di san Bonaventura – siamo nel XIII secolo – appariva un aspetto importante della tradizione che anche oggi, di fronte a nuovi carismi ed apparizioni, ha il suo rilievo.
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