Gesù ci conduce
Gesù ci conduce verso il coraggio che non si lascia intimidire dal chiacchereccio delle opinioni dominanti
“Essere cristiani significa considerare la via di Gesù Cristo come la via giusta per l’essere uomini – come quella via che conduce alla meta, ad una umanità pienamente realizzata e autentica…l’essere cristiani è un cammino, o meglio: un pellegrinaggio, un andare insieme con Gesù Cristo. Un andare in quella direzione che Egli ci ha indicato e ci indica.
L’uomo può scegliere una via comoda e scansare ogni fatica. Può anche scendere verso il basso, il volgare. Può sprofondare nella palude della menzogna e della disonestà. Gesù cammina avanti a noi, e va verso l’alto.
Egli ci conduce verso ciò che è grande, puro, ci conduce verso l’aria salubre delle altezze: verso la vita secondo verità; verso il coraggio che non si lascia intimidire dal chiacchereccio delle opinioni dominanti; verso la pazienza che sopporta e sostiene l’altro.
Egli ci conduce verso la disponibilità per i sofferenti, per gli abbandonati; verso la fedeltà che sta dalla parte dell’altro anche quando la situazione si rende difficile. Conduce verso la disponibilità a recare aiuto; verso la bontà che non si lascia disarmare neppure dall’ingratitudine. Egli ci sostiene verso l’amore – ci conduce verso Dio.
“Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme”. Se leggiamo questa parola del Vangelo nel contesto della via di Gesù nel suo insieme – una via che, appunto, prosegue sino alla fine dei tempi – possiamo scoprire nell’indicazione della meta “Gerusalemme” diversi livelli.
- Naturalmente innanzitutto deve intendersi semplicemente il luogo “Gerusalemme”: è la città in cui si trovava il Tempio di Dio, la cui unicità doveva alludere all’unicità di Dio stesso. Questo luogo annuncia quindi due cose: da un lato dice che Dio è uno solo in tutto il mondo, supera immensamente tutti i nostri luoghi e tempi: è quel Dio a cui appartiene l’intera creazione. E’ il Dio di cui tutti gli uomini nel più profondo sono alla ricerca e di cui in qualche modo tutti hanno conoscenza.
- Ma questo Dio si è dato un nome. Si è fatto conoscere a noi, ha avviato una storia con gli uomini; si è scelto un uomo – Abramo – come punto di partenza di questa storia. Il Dio infinito è al contempo il Dio vicino. Egli, che non può essere rinchiuso in alcun edificio, vuole tuttavia abitare in mezzo a noi, essere totalmente con noi.
- Se Gesù insieme con Israele peregrinante sale verso Gerusalemme, Egli ci va per celebrare con Israele la Pasqua : il memoriale della liberazione di Israele – memoriale che, allo stesso tempo, è sempre speranza di libertà definitiva, che Dio donerà. E Gesù va verso questa festa nella consapevolezza di essere Egli stesso l’Agnello in cui si compirà ciò che il Libro dell’Esodo dice al riguardo: un agnello senza difetto, maschio, che al tramonto, davanti agli occhi dei figli di Israele, viene immolato “come rito perenne” (Es 12,5-6.14).
- E infine Gesù sa che la sua via andrà oltre: non avrà nella croce la sua fine. Sa che la sua via strapperà il velo tra questo mondo e il mondo di Dio;che Egli salirà fino al trono di Dio e riconcilierà Dio e l’uomo nel suo corpo. Sa che il suo corpo risorto sarà il nuovo sacrificio e il nuovo Tempio; che intorno a Lui, dalla schiera degli Angeli e dei Santi, si formerà la nuova Gerusalemme che è nel cielo e tuttavia è anche già sulla terra, perché nella sua passione Egli ha aperto il confine tra cielo e terra. La sua via conduce al di là della cima del monte del Tempio fino all’altezza di Dio stesso: è questa la grande ascesa alla quale Egli invita tutti noi. Egli rimane sempre presso di noi sulla terra ed è sempre giunto presso Dio, Egli ci guida sulla terra e oltre la terra.
- Così, nell’ampiezza dell’ascesa di Gesù diventano visibili le dimensioni della nostra sequela – la meta alla quale Egli vuole condurci: fino alle altezze di Dio, alla comunione con Dio, all’essere – con – Dio. E’ questa la vera meta, e la comunione con Lui è un essere in cammino, una permanente ascesa verso la vera altezza della nostra chiamata.
- Il camminare insieme con Gesù è al contempo sempre un camminare nel “noi” di coloro che vogliono seguire Lui. Ci introduce in questa comunità. Poiché il cammino fino alla vita vera, fino ad essere uomini conformi al modello del Figlio di Dio Gesù Cristo supera le nostre proprie forze, questo camminare è sempre anche un essere portati. Ci troviamo, per così dire, in una cordata con Gesù Cristo – insieme con Lui nella salita verso le altezze di Dio. Egli ci tira e ci sostiene. Fa parte della sequela di Cristo che ci lasciamo integrare in tale cordata: che accettiamo di non potercela fare da soli. Fa parte di essa questo atto di umiltà, l’entrare nel “noi” della Chiesa; l’aggrapparsi alla cordata, la responsabilità della comunione – il non strappare la corda con la caparbietà e la saccenteria. L’umile credere con la Chiesa , come essere saldati nella cordata dell’ascesa verso Dio, è una condizione essenziale della sequela. Di questo essere insieme della cordata fa parte anche il comportarsi da padroni della Parola di Dio, il non correre dietro un’idea sbagliata di emancipazione. L’umiltà dell’”essere – con” è essenziale per l’ascesa. Fa anche parte di essa che nei Sacramenti ci lasciamo sempre di nuovo prendere per mano dal Signore; che da Lui ci lasciamo purificare e corroborare; che accettiamo la disciplina dell’ascesa, anche se siamo stanchi.
- Infine, dobbiamo ancora dire: dell’ascesa verso l’altezza di Gesù Cristo, dell’ascesa fino all’altezza di Dio stesso fa parte la Croce. Come nelle vicende di questo mondo non si possono raggiungere grandi risultati senza rinuncia e duro esercizio, come la gioia per una grande scoperta conoscitiva o per una vera capacità operativa è legata alla disciplina, anzi, alla fatica dell’apprendimento, così la via verso la vita stessa, verso la realizzazione della propria umanità è legata alla comunione con Colui che è salito all’altezza di Dio attraverso la Croce. In ultima analisi, la Croce è espressione di ciò che l’amore significa: solchi perde se stesso, si trova” (Benedetto XVI, Omelia delle Palme, 28 marzo 2019).
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