Non moralismo
Il cristianesimo è moralità, non moralismo: “amatevi come io vi ho amato”, “Non vi chiamo più servi…Vi ho chiamato amici
“Se continuiamo a leggere attentamente il capitolo 15 del Vangelo di Giovanni, troviamo anche un secondo imperativo: “Rimanete” e “Osservate i miei comandamenti”. “Osservate” è solo il secondo livello; il primo è quello del “rimanere”, il livello ontologico, cioè che siamo uniti a Lui, che ci ha dato in anticipo se stesso, ci ha dato il suo amore, il frutto. Non siamo noi che dobbiamo fare quanto Dio si aspetta dal mondo, ma dobbiamo innanzitutto entrare in questo mistero ontologico: Dio si dà Egli stesso. Il suo essere, il suo amare, precede il nostro agire e, nel contesto del suo Corpo, nel contesto dello stare in Lui, identificati con Lui, nobilitati con il suo Sangue, possiamo anche noi agire con Cristo.
L’etica è conseguenza dell’essere: prima il Signore ci dà un nuovo essere, questo è il grande dono; l’essere precede l’agire e da questo essere poi segue l’agire, come una realtà organica, perché ciò che siamo, possiamo esserlo anche nella nostra attività. E così ringraziamo il Signore perché ci ha tolto dal puro moralismo; non possiamo obbedire ad una legge che sta di fronte a noi, ma dobbiamo solo agire secondo la nostra nuova identità. Quindi non è più un’obbedienza, una cosa esteriore, ma una realizzazione del dono del nuovo essere.
Lo dico ancora una volta: ringraziamo il Signore perché Lui ci precede, ci dà quanto dobbiamo dare noi, e noi possiamo essere poi, nella verità e nella forza del nostro essere, attori della sua realtà. Rimanere e osservare: l’osservare è il segno del rimanere e il rimanere è il dono che Lui ci dà, ma che deve essere rinnovato ogni giorno nella nostra vita.
Segue, poi, questo nuovo comandamento: “Amatevi come io vi ho amato”. Nessun amore è più grande di questo: “dare la vita per i propri amici”. Che cosa vuol dire? Anche qui non si tratta di moralismo. Si potrebbe dire: “Non è un nuovo comandamento; il comandamento di amare il prossimo come se stessi esiste già nell’Antico Testamento”. Alcuni affermano: “Tale amore va ancora più radicalizzato; questo amare l’altro deve imitare Cristo, che si è dato per noi; deve essere un amare eroico, fino al dono di se stessi”. In questo caso, però, il cristianesimo sarebbe un moralismo eroico. E’ vero che dobbiamo arrivare fino a questa radicalità dell’amore, che Cristo ci ha mostrato e donato, ma anche qui la vera novità non è quanto facciamo noi, la vera novità è quanto ha fatto Lui: il Signore ci ha dato se stesso, e il Signore ci ha donato la vera novità di essere membri del suo corpo, di essere rami della vite che è Lui. Quindi, la novità è il dono, il grande dono, e dal dono, dalla novità del dono, segue anche, come ho detto, il nuovo agire (cioè la moralità).
San Tommaso d’Aquino lo dice in modo molto preciso quando scrive: “La nuova legge è la grazia dello Spirito Santo” (Summa theologiae, I – Iiae, q. 106, a. 1). La nuova legge non è un altro comando più difficile degli altri: la nuova legge è un dono, la nuova legge è la presenza dello Spirito Santo datoci nel Sacramento del Battesimo, nella Cresima, e datoci ogni giorno nella Santissima Eucaristia. I Padri qui hanno distinto “sacramentum” ed “exemplum”. “Sacramentum” è il dono del nuovo essere, e questo dono diventa anche esempio per il nostro agire, ma il “sacramentum” precede, e noi viviamo dal sacramento. Qui vediamo la centralità del sacramento, che è centralità del dono.
Procediamo nella nostra riflessione. Il Signore dice: “Non vi chiamo più servi, il servo non sa quello che fa il suo padrone. Vi ho chiamato amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi”. Non più servi, che obbediscono al comando, ma amici che conoscono, che sono uniti nella stessa volontà, nello stesso amore. La novità quindi è che Dio si è fatto conoscere, che Dio si è mostrato, che Dio non è più il Dio ignoto, cercato, ma non trovato o solo indovinato da lontano. Dio si è fatto vedere: nel volto di Cristo vediamo Dio, Dio si è fatto “conosciuto”, e così ci ha fatto amici. Pensiamo come nella storia dell’umanità, in tutte le religioni arcaiche, si sa che c’è un Dio. Questa è una conoscenza immersa nel cuore dell’uomo, che Dio è uno, gli dèi non sono “il” Dio. Ma questo Dio rimane molto lontano, sembra che non si faccia conoscere, non si faccia amare, non è amico, ma è lontano. Perciò le religioni si occupano poco di questo Dio, la vita concreta si occupa degli spiriti, delle realtà concrete che incontriamo ogni giorno e con le quali dobbiamo fare i calcoli quotidianamente. Dio rimane lontano.
Poi vediamo il grande movimento della filosofia: pensiamo a Platone. Aristotele, che iniziano a intuire come questo Dio è l’agathon, la bontà stessa, è l’eros che muove il mondo, e tuttavia questo rimane un pensiero umano, è un’idea di Dio che si avvicina alla verità, ma è un’idea nostra e Dio rimane nascosto.
Ed ecco, in Cristo, Dio si è mostrato nella sua totale verità, ha mostrato che è ragione e amore, che la ragione eterna è amore e così crea. Purtroppo, anche oggi molti vivono lontani da Cristo, non conoscono il suo volto e così l’eterna tentazione del dualismo, si rinnova sempre, cioè che forse non c’è solo un principio buono, ma anche un principio cattivo, un principio del male, che il mondo è diviso e sono due realtà ugualmente forti: e che il Dio buono è solo una parte della realtà. Anche nella teologia, compresa quella cattolica, si diffonde attualmente questa tesi: Dio non sarebbe onnipotente. In questo modo si cerca un’apologia di Dio, che così non sarebbe responsabile del male che troviamo ampiamente nel mondo. Ma povera apologia! Un Dio non onnipotente! Il male non sta nelle sue mani! E come potremo affidarci a questo Dio? Come potremmo essere sicuri nel suo amore se questo amore finisce dove comincia il potere del male?
Ma Dio non è più sconosciuto: Nel volto del Cristo Crocifisso vediamo Dio e vediamo la vera onnipotenza, non il mito dell’onnipotenza. Per noi uomini potenza, potere è sempre identico alla capacità di distruggere, di fare il male. Ma il vero concetto di onnipotenza che appare in Cristo è proprio il contrario: in Lui la vera onnipotenza è amare fino al punto che Dio può soffrire: qui si mostra la sua vera onnipotenza, che può giungere fino al punto di un amore che soffre per noi. E così vediamo che Lui è il vero Dio e il vero Dio, che è amore, è potere: il potere dell’amore. E noi possiamo affidarci al suo amore onnipotente e vivere in questo, con questo amore onnipotente” (Benedetto XVI, Visita al Seminario Maggiore – Lectio Divina, 12 febbraio 2010).
La verità che rende liberi è un dono di Gesù Cristo, dell’incontro con Lui (Gv 8,32) che mi rivela, attraverso la sua via umana, sia chi è Dio e sia chi è ogni uomo e tutto il cosmo. La ricerca della verità è insita nella natura di ogni uomo, è un bisogno originario., mentre l’ignoranza lo mantiene in una condizione di schiavitù. L’uomo infatti non può essere veramente libero se non riceve luce sulle questioni centrali della sua esistenza ed in particolare su quella di sapere chi sono? Da dove vengo e dove vado? Perché la presenza del male? Cosa ci sarà dopo questa vita?. Ogni uomo diventa libero quando Dio si dona a lui come Amico, secondo la parola del Signore: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15). La liberazione dall’alienazione del peccato e della morte si realizza per ogni uomo quando il Cristo, il Risorto, il Vivente, il Presente che è la Verità, diventa per lui la “la via” (Gv 14,6).
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