La tenda di Dio
La vera Gerusalemme, il Salem, la Tenda di Dio è il sacrificio del Corpo Eucaristico quando accade il Corpo Mistico, la Chiesa cioè la Pace di Dio con l’uomo
“Nel canone romano dopo la Consacrazione, abbiamo la preghiera supra quae, che menziona alcune prefigurazioni di Cristo, del suo sacerdozio e del suo sacrificio: Abele, il primo martire, con il suo agnello; Abramo, che sacrifica nell’intenzione il figlio Isacco, sostituito dall’agnello dato da Dio; e Melchisedech, Sommo Sacerdote del Dio Altissimo, che porta pane e vino. Questo vuol dire che Cristo è la novità assoluta di Dio e, nello stesso tempo, è presente in tutta la storia, attraverso la storia, e la storia va incontro a Cristo. E non solo la storia del popolo eletto, che è la vera preparazione voluta da Dio, nella quale si rivela il mistero di Cristo, vi sono vie verso Cristo, il quale porta tutto in sé.
Questo mi sembra importante nella celebrazione dell’Eucaristia: qui è raccolta tutta la preghiera umana, tutto il desiderio umano, tutta la vera devozione umana, la vera ricerca di Dio, che si trova finalmente realizzata in Cristo. Infine va detto che adesso è aperto il cielo, il Dio, che si trova finalmente realizzata in Cristo. Infine va detto che adesso è aperto il cielo, il culto non è più enigmatico, in segni relativi, ma è vero, perché il cielo è aperto e non si offre qualcosa, ma l’uomo diventa uno con Dio e questo è il vero culto. Così dice la Lettera agli Ebrei: “Il nostro sacerdote sta alla destra del trono, del santuario, della vera tenda, che il Signore stesso ha costruito” (8, 1-2).
Ritorniamo al punto che Melchisedech è Re di Salem. Tutta la tradizione davidica si è richiamata a questo dicendo: “Qui è il luogo, Gerusalemme è il luogo del vero culto,la concentrazione del culto a Gerusalemme viene già dai tempi abramitici, Gerusalemme è il vero luogo della venerazione giusta di Dio”.
Facciamo un nuovo passo: la vera Gerusalemme, il Salem (la Tenda) di Dio, è il Corpo di Cristo, l’Eucaristia è la pace di Dio con l’uomo. Sappiamo che san Giovanni, nel Prologo, chiama l’umanità di Gesù “la tenda di Dio”, eskenosen en hemin (Gv 1,14). Qui Dio stesso ha creato la sua tenda nel mondo e questa tenda, questa nuova, vera Gerusalemme è, nello stesso tempo sulla terra e in cielo, perché questo Sacramento, questo sacrificio si realizza sempre tra noi e arriva sempre fino al trono della Grazia, alla presenza di Dio. Qui è la vera Gerusalemme, al medesimo tempo, celeste e terrestre, la tenda, che è il Corpo di Dio, che come Corpo risorto rimane sempre Corpo e abbraccia l’umanità e, nello stesso tempo, essendo Corpo risorto, vivente, ci unisce con Dio. Tutto questo si realizza sempre di nuovo nell’ Eucaristia. E noi da sacerdoti siamo chiamati ad essere ministri di questo grande Mistero, nel Sacramento e nella vita. Preghiamo il Signore che ci faccia capire sempre meglio questo Mistero, di vivere sempre meglio questo Mistero e così offrire il nostro aiuto affinché il mondo si apra a Dio, affinché il mondo sia redento” (Benedetto XVI, Lectio divina con i Parroci della Diocesi di Roma, 18 febbraio 2010).
Se perdiamo la consapevolezza della verità che la Messa è sacrificio e non solo cena fraterna, perdiamo di vista la grandezza di ciò che Dio ci dona nell’Eucaristia. Ma in che cosa consiste il sacrificio? Non nella distruzione, ma nella trasformazione dell’uomo. Nel fatto che diventa lui stesso conforme a Dio, e diventa conforme a Dio quando si fa dono totalmente, quando diventa amore. “E’ per questo che il vero sacrificio è qualsiasi opera che ci permette di unirci a Dio in una santa comunità”, dice a proposito Agostino. A partire da questa chiave neotestamentaria per cui l’essere di Cristo è perfetta ed intima unione con Dio, una cosa sola con la Vita indistruttibile e pertanto poteva donare la vita lasciandosi uccidere, senza soccombere definitivamente alla morte (in concreto nell’Ultima Cena egli ha anticipato e accettato per amore la propria morte in croce, trasformandola così nel dono di sé, quel dono che ci dà la vita, ci libera e ci salva), Agostino interpreta i sacrifici vetero testamentari come simboli che significano questo sacrificio propriamente detto, ed è per questo, dice, che il culto doveva essere trasformato, il segno doveva scomparire in favore della realtà: “Tutte le prescrizioni divine della Scrittura concernenti i sacrifici del tabernacolo o del tempio, sono delle figure che si riferiscono all’amore di Dio e del prossimo” (La Città di Dio, X,5).
Ma Agostino sa anche che l’amore diventa vero solo quando conduce l’uomo a Dio, che è l’amore più forte della morte e così lo indirizza verso il suo vero fine; solo qui si può verificare l’unità degli uomini tra loro. Così il concetto di sacrificio rinvia alla comunità e la prima definizione tentata da Agostino si trova a partire da questo momento, ampliata dal seguente enunciato: “Tutta l’umanità umana riscattata, cioè l’unione e la comunità dei santi è offerta a Dio in sacrificio dal Gran Sacerdote che si è offerto lui stesso” (ibid. X, 6). E più semplicemente ancora: “Tale è il sacrificio dei cristiani: la moltitudine, un solo corpo nel Cristo” (Ibid. X,6).”La Chiesa celebra questo mistero con il sacrificio dell’altare, ben conosciuto dai credenti, perché in questo è mostrato che nelle cose che essa offre, essa stessa è offerta” (ibid. X,6). Chi ha compreso questo non sarà del parere che parlare del sacrificio della Messa è perlomeno altamente ambiguo e anche uno spaventoso errore. Al contrario: se non ritroviamo questa verità, perdiamo di vista la grandezza di ciò che Dio ci dona nell’Eucaristia, di ciò che celebra il presbitero con la comunità.
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