Presepio
Vivere tutti i giorni quello che il presepe rappresenta, cioè l’amore di Cristo, la sua umiltà, la sua povertà
“E’ per me motivo di gioia sapere che nelle vostre famiglie si conserva l’usanza di fare il presepe. Però non basta un gesto tradizionale, per quanto importante. Bisogna cercare di vivere nella realtà di tutti i giorni quello che il presepe rappresenta, cioè l’amore di Cristo, la sua umiltà, la sua povertà.
E’ ciò che fece san Francesco a Greccio: rappresentò dal vivo la scena della Natività, per poterla contemplare e adorare, ma soprattutto per saper meglio mettere in pratica il messaggio del Figlio di Dio, che per amore nostro si è spogliato di tutto e si è fatto piccolo bambino.
Guardiamo il presepe: la Madonna e san Giuseppe non sembrano una famiglia molto fortunata; hanno avuto il loro primo figlio in mezzo a grandi disagi; eppure sono pieni di intima gioia, perché si amano, si aiutano, e soprattutto sono certi che nella loro storia è all’opera Dio, il Quale si è fatto presente nel piccolo Gesù. E i pastori? Che motivo avrebbero di rallegrarsi? Quel Neonato non cambierà certo la loro condizione di povertà e di emarginazione. Ma la fede li aiuta a riconoscere nel “bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”, il “segno” del compiersi delle promesse di Dio per tutti gli uomini “che egli ama” (Lc 2,12.14), anche per loro!
Ecco, cari amici, in che cosa consiste la vera gioia: è il sentire che la nostra esistenza personale e comunitaria viene visitata e riempita da un mistero grande, il mistero dell’amore di Dio. Per gioire abbiamo bisogno non solo di cose, ma di amore e di verità; abbiamo bisogno di un Dio vicino, che risalda il nostro cuore, e risponde alle nostre attese profonde. Questo Dio si è manifestato in Gesù, nato dalla Vergine Maria. Perciò quel Bambinello, che mettiamo nella capanna o nella grotta, è il centro di tutto, è il cuore del mondo. Preghiamo perché ogni uomo, come la Vergine Maria, possa accogliere quale centro della propria vita il Dio che si è fatto Bambino, fonte della vera gioia” (Benedetto XVI, Angelus, 13 dicembre 2009).
Durante la celebrazione liturgica del tempo di Avvento abbiamo rivissuto la lunga speranza durata per molti secoli.
Oltre all’oscura attesa che ha posto in ogni cuore dei pagani, Dio ha preparato la venuta del suo Figlio tramite l’Antica Alleanza, fino a Giovanni Battista che è l’ultimo e il più grande dei profeti.
A Natale, la gloria cioè l’Amore del Cielo si manifesta nella debolezza di un bambino; la circoncisione di Gesù è segno della sua appartenenza al popolo ebraico e prefigurazione del nostro battesimo; l’Epifania è la manifestazione del Re – Messia d’Israele a tutte le genti; nella sua presentazione al tempio, in Simeone e Anna è tutta l’attesa di Israele che viene all’incontro con il suo Salvatore; la fuga in Egitto e la strage degli innocenti annunciano che l’intera vita di Cristo sarà sotto il segno della persecuzione; il suo ritorno dall’Egitto ricorda l’Esodo e presenta Gesù come il nuovo Mosè: è Lui il vero e definitivo liberatore.
Durante la fede celebrata, vissuta pregata nel tempo natalizio riattualizziamo e riviviamo la vita nascosta a Nazaret dove Gesù rimane nel silenzio di una esistenza ordinaria che ci permette così di essere in comunione con Lui nella santità cioè nell’amore di una vita quotidiana intessuta di preghiera, di semplicità, di lavoro, di amore familiare.
La sua sottomissione a Maria e a Giuseppe, suo padre putativo, è un’immagine della sua obbedienza al Padre. Maria e Giuseppe, con la loro fede, accolgono il Mistero di Gesù cioè il divino in quella via umana, pur non comprendendolo sempre.
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