Pane del Cielo

Ci chiama a Lui nel sacramento dell’Eucaristia per formare insieme la Chiesa

“Io sono il pane vivo, disceso dal cielo” (Gv 6,51). Non si può non restare colpiti da questa corrispondenza che ruota intorno al simbolo del “cielo”: Maria è stata “assunta” nel luogo dal quale suo Figlio era “disceso”. Naturalmente questo linguaggio, che è biblico, esprime in termini figurati qualcosa che non entra mai completamente nel mondo dei nostri concetti e delle nostre immagini. Ma fermiamoci un momento a riflettere! Gesù si presenta come il “pane vivo”, cioè il nutrimento che contiene la vita stessa di Dio ed è in grado di comunicarla a chi mangia di Lui, il vero nutrimento che dà la vita, nutre realmente in profondità. Gesù dice: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,51). Ebbene, da chi il Figlio di Dio ha preso questa sua “carne”, la sua umanità concreta terrena? L’ha presa dalla Vergine Maria. Dio ha assunto da Lei il corpo umano per entrare nella nostra condizione mortale. A sua volta, alla fine dell’esistenza terrena, il corpo della Vergine è stato assunto in cielo da parte di Dio e fatto entrare nella condizione celeste.

E’ una sorta di scambio, in cui Dio ha sempre la piena iniziativa, ma come abbiamo visto in altre occasioni, in un certo senso, ha anche bisogno di Maria, del “sì” della creatura, della sua carne, della sua esistenza concreta, per preparare la materia del suo sacrificio: il corpo e il sangue, da offrire sulla Croce quale strumento di vita eterna e, nel sacramento dell’Eucaristia, quale cibo e bevanda spirituali. Ciò che è accaduto in Maria, vale in altri modi, ma realmente, anche per ogni uomo e ogni donna, perché ad ognuno di noi Dio chiede di accoglierLo, di mettergli a disposizione il nostro cuore e il nostro corpo, la nostra intera esistenza, la nostra carne – dice la Bibbia -, perché Egli possa abitare nel mondo. Ci chiama a unirci a Lui nel sacramento dell’Eucaristia, Pane spezzato per la vita del mondo, per formar insieme la Chiesa, il suo corpo mistico” (Benedetto XVI, Angelus, 16 agosto 2009).

Se noi diciamo sì, come Maria, anzi nella misura stessa di questo nostro “sì”, avviene anche per noi e in noi questo misterioso scambio: veniamo assunti nella divinità di Colui che ha assunto la nostra umanità. L’Eucaristia è il mezzo, lo strumento di questo reciproco trasformarsi, che ha sempre Dio come fine e come attore principale: Lui è il Capo e noi le membra, Lui la Vite e noi i tralci. Chi mangia di questo Pane e vive in comunione con Gesù lasciandosi trasformare da Lui e in Lui, è salvato dalla morte eterna: certamente muore come tutti, partecipando anche al mistero della passione e della croce di Cristo, ma non è più schiavo della morte, e risorgerà nell’ultimo giorno, per godere la festa eterna con Maria e con tutti i Santi.

Questo mistero, questa festa di Dio incomincia quaggiù. Il Cristo ha assunto da Maria il corpo umano unendosi in qualche modo con ogni uomo e poi è risuscitato “in Spirito Santo”. Questa nuova presenza di Cristo nella storia, nel Sacramento, nella Parola, nella vita della Chiesa, nel cuore di ogni uomo che sotto l’azione del Suo Spirito lo accoglie nella Chiesa, è l’espressione, ma anche l’inizio dell’Avvento definitivo del Cristo che prenderà possesso di tutto in tutto. Ciò significa che il cristianesimo è di per sé movimento perché va incontro ad un Signore risuscitato che è salito al Cielo e ritornerà. E’ questa la ragione per la quale il cristianesimo porta in sé sempre la struttura di speranza. L’Eucaristia è sempre stata concepita movimento da parte nostra verso il Signore che viene. Essa incorpora pure tutta la Chiesa, incominciando pienamente dalla Donna eucaristica, Maria.

La tesi secondo la quale la fine dell’Apocalisse ponga termine ad ogni profezia, ad ogni movimento per la sola istituzione racchiude un malinteso. Anzitutto dietro a questa tesi può esserci il concetto che il carismatico, il profeta, che è essenzialmente finalizzato ad una dimensione di speranza, non abbia più ragione di essere, proprio perché ormai c’è il Cristo e la speranza si basa solo sulla sua presenza istituzionale. Questo è un errore, perché il Cristo è venuto nella carne, poi risuscitato si fa presente “in Spirito Santo” e quindi la dimensione carismatica è coessenziale alla dimensione istituzionale.

Questa nuova presenza di Cristo nella storia, nel Sacramento, nella Parola, nella vita della Chiesa, nel cuore di ogni uomo, nei carismi è l’espressione, ma anche l’inizio dell’Avvento definitivo del Cristo che prenderà possesso di tutto e in tutto ed è questa la speranza affidabile di vita veramente vita, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino e dare senso anche a piccoli rinnmovamenti. Ciò significa che il cristianesimo è di per sé anche movimento perché va incontro ad un Signore risuscitato che è salito al Cielo e ritornerà anche visibilmente tutto in tutti e in tutto. E’ questa la ragione per la quale il cristianesimo porta in sé sempre con la dimensione istituzionale la struttura di movimento, di speranza affidabile. L’Eucaristia è sempre stata concepita come movimento da parte nostra verso il Signore che viene: vieni, Signore Gesù. Essa incorpora pure tutta la Chiesa di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

- Il concetto che il cristianesimo sia una presenza già del tutto completa e non porti in sé alcuna struttura di movimento, di speranza è il primo errore che va rigettato. Il Nuovo testamento ha già in sé una struttura di movimento, di speranza che è un po’ cambiata in rapporto all’Antico Testamento, ma che è pur sempre una struttura di movimento, di speranza. Essere vigilanti su possibili carismi dello Spirito, servitore della speranza è essenziale per la fede del nuovo popolo di Dio.

- Il secondo malinteso è costituito da una comprensione intellettualistica e riduttiva della Rivelazione che viene considerata come un tesoro di verità rivelate assolutamente complete a cui non si può aggiungere nulla. L’autentico avvenimento della Rivelazione cioè dell’incontro con la Persona di Gesù Cristo all’inizio dell’esser cristiani e di ogni testimonianza e che dà un nuovo orizzonte e una direzione decisiva, consiste nel fatto che noi veniamo invitati a questo “faccia a faccia” con Dio iniziato con Mosè, pienamente realizzato da Gesù già nella sua fase terrena. La Rivelazione è essenzialmente l’avvenimento di un Dio trinitario che si dona a noi, che costruisce con noi la storia e che ci riunisce fraternamente e raccoglie tutti insieme. Si tratta di un incontro che ha in sé una dimensione comunicativa e una struttura cognitiva di memoria e di avvenimento. Certo essa implica anche il riconoscimento delle verità rivelate che l’istituzione perenne propone oggi con il Catechismo e il suo Compendio. Se si accetta la Rivelazione sotto questo punto di vista, si può dire che la Rivelazione ha raggiunto il suo scopo con il Cristo, secondo la bella espressione di san Giovanni della Croce, quando Dio che possiede un volto umano ha parlato personalmente, non vi è nulla da aggiungere. Non si può dire nulla oltre il Logos, la Parola. Egli è in mezzo a noi in modo completo e lo stesso Dio trinitario non può più darci, né dirci qualcosa più di Sé stesso. Quanto a noi, non ci resta che penetrare, giorno dopo giorno, circostanza dopo circostanza, questo mistero della fede, proprio perché noi cristiani abbiamo ricevuto questo dono totale di sé che Dio ci ha fatto con il suo Verbo fatto carne.

Ciò si ricollega alla struttura della speranza nella quale sono coessenziali istituzione e carisma. La venuta di Cristo è l’inizio di una conoscenza sempre più profonda per ogni singolo e per la Chiesa nel suo insieme e di una graduale scoperta di ciò che il Verbo ci ha donato attraverso la continuità dinamica della Tradizione. Così si è aperto un nuovo modo di introdurre ogni uomo nella Verità tutta intera, come dice Gesù nel Vangelo di San Giovanni, dove parla della discesa dello Spirito Santo. La cristologia pneumatologica dell’ultimo discorso di addio di Gesù nel Vangelo di san Giovanni è molto importante, dato che Cristo spiega che la sua fase terrena in carne biologica non era che un primo passo fondamentale. La vera venuta del Cristo, come ricorda san Paolo, si realizza al momento in cui Lui non è più legato alla vita biologica e quindi a un luogo fisso o a un corpo fisico, ma nella nuova e definitiva vita, la vita veramente vita come Risuscitato nello Spirito, vita nuova non solo di Lui, ma per ciascuno di noi, per tutta la famiglia umana, per tutta la storia e l’universo, capace di andare da tutti gli uomini di tutti i tempi, per introdurli nella verità in modo sempre più profondo e divenire tutto in tutti e in tutto. Questa cristologia pneumatologica determina il tempo della Chiesa, cioè il tempo in cui il Cristo viene a noi attraverso il dono di ciò che di più intimo c’è in Lui cioè in Spirito e quindi l’elemento profetico, carismatico come elemento di speranza e di attualizzazione del dono di Dio, non può mancare né venir mai meno. In Paolo è particolarmente evidente che il suo apostolato, essendo un apostolato universale rivolto a tutto il mondo pagano, comprende in modo accentuato questa dimensione profetica di movimento. Grazie al suo incontro con il Cristo Risorto, San Paolo ha potuto penetrare nel mistero della Risurrezione e nella profondità del Vangelo penetrando in tutti i fatti e i detti della fase terrena accolti fedelmente dagli apostoli. Grazie all’avvenimento del suo incontro con il Cristo egli ha potuto capire in modo nuovo la sua Parola, mettendo in evidenza l’aspetto di speranza e facendo valere la sua capacità di discernimento.

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