Salvare l'anima

La meta della nostra fede è la salvezza delle anime

“Nel mondo del linguaggio e del pensiero dell’attuale cristianità questa (di san Pietro) è un’affermazione strana, per alcuni addirittura scandalosa. La parola “anima” è caduta in discredito. Si dice che questa porterebbe ad una divisione dell’uomo in spirito e fisico, in anima e corpo, mentre in realtà egli sarebbe un’unità indivisibile. Inoltre “la salvezza delle anime” come mèta della fede sembra indicare un cristianesimo individualizzato, una perdita di responsabilità per il mondo nel suo insieme, nella sua corporeità e nella sua materialità. Ma di tutto questo nulla si trova nella Lettera di Pietro.

Lo zelo per la testimonianza in favore della speranza, la responsabilità per gli altri caratterizza l’intero testo. Per comprendere la parola sulla salvezza delle anime come mèta della fede dobbiamo partire da un altro lato. Resta vero che l’incuria delle anime, l’immiserirsi dell’uomo interiore non distrugge soltanto il singolo, ma minaccia il destino dell’umanità nel suo insieme. Senza risanamento delle anime, senza risanamento dell’uomo dal di dentro, non può esserci una salvezza per l’umanità” (Benedetto XVI, Omelia nella Solennità dei Santi Pietro e Paolo, 29 giugno 2009).

L’anima per cui ogni io umano unitariamente non solo sente ma intende e vuole (anima – corpo) è costitutivo di ogni essere umano. E ogni anima è creata, nella procreazione dei genitori, direttamente da Dio e non si dissolve nella dissoluzione del corpo. La vera malattia delle anime, san Pietro la qualifica innanzitutto come ignoranza – come non conoscenza del vero, del bene, di Dio. Chi non conosce Dio, chi nella propria anima, nel proprio io, nel proprio cuore almeno non lo ricerca sinceramente ricercando il vero e il bene, resta fuori, per sé e per tutta la famiglia umana, dalla vera vita (1 Pt 1,14).

Ancora un’altra parola della Lettera può essere utile per capire meglio la formula, sempre ripetuta in continuità nella Tradizione cattolica, “salvezza delle anime”: Purificate le vostre anime con l’obbedienza alla verità” (1 22). E’ l’obbedienza alla verità da parte dell’anima che non solo intende ma vuole liberamente cioè ama che rende pura l’anima, la qualifica moralmente. Ed è invece il voler convivere con la menzogna, il non desiderare la verità, il non essere disponili all’amore che la inquina.

L’obbedienza alla verità, come ci testimonia santa Teresa di Gesù Bambino nella “Storia di un’anima”, comincia con le piccole verità del quotidiano, che spesso possono essere faticose e dolorose. Questa obbedienza si estende poi fino all’obbedienza senza riserve alla Verità stessa che è Cristo, via umana d’amore al Dio vivente, Padre, Figlio, Spirito Santo, Verità e Vita. Tale obbedienza non solo ci rende puri cioè lontani da ogni idolatria schiavizzante, ma soprattutto anche liberi per il servizio a Cristo e all’amore che viene da Lui e così alla salvezza del mondo, che pur sempre prende inizio dalla purificazione obbediente della propria anima, del proprio cuore, del proprio io mediante la verità e l’amore, il desiderio della verità e la disponibilità all’amore. Possiamo indicare apostolicamente, missionariamente la via umana di Cristo alla verità solo se noi stessi, nella nostra anima cioè nel nostro intendere e volere, regia del sentire – in obbedienza e pazienza – ci lasciamo purificare continuamente e progressivamente da ogni evidenza di verità e di libera adesione ad essa cioè dall’amore. Ecco il giusto senso della meta della nostra fede è la salvezza delle anime.

Se dopo il Concilio Vaticano II la parola “anima” è caduta in discredito è perché i suoi documenti sono stati subito sepolti sotto una montagna di pubblicazioni affrettate e superficiali, o semplicemente inesatte. Benedetto XVI ci aiuta ad una rilettura della lettera dei testi conciliari e questo ci permette di scoprire il loro autentico spirito. I testi così riscoperti nella loro verità, ci insegnano a comprendere che cosa è veramente accaduto, e di prendere posizione con rinnovata energia. IL cattolico che lucidamente – e di conseguenza, con sofferenza – vede i guasti prodotti nella sua Chiesa dalle false interpretazioni del Concilio Vaticano II, scopre sempre più nel Concilio Vaticano II le possibilità di un’autentica ripresa, di un’autentica ricezione. Il Concilio, nella continuità del Popolo di Dio, ad esso appartiene e non a coloro che vogliono dirottarlo per una via, i cui sbocchi sarebbero catastrofici. Esso non è il Concilio di coloro che, non a caso, non sanno più che farsene del Vaticano II e che puntano a un Vaticano III.

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