Anno sacerdotale
“Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote”
Si è aperto, venerdì 19 giugno nella solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù con i Vespri presieduti dal Santo Padre nella Basilica di San Pietro, l’Anno Sacerdotale.
Benedetto XVI l’ha indetto in occasione dei 150 anni (+ 1859) della morte del Santo Curato d’Ars, che proclamerà patrono non solo dei parroci ma di tutti i sacerdoti del mondo.
Il tema scelto per l’Anno Sacerdotale è “Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote”: anche dimenticato, trascurato e perfino tradito Cristo risorto che con il dono dello Spirito li ha consacrati ad agire in sua persona per sempre e quindi non li dimentica, non li trascura e soprattutto non li tradisce, anche tradito dando la possibilità fino al momento terminale della vita di riconoscere il peccato, convertirsi, lasciarsi riconciliare e ricominciare. Contemplando questo amore senza limiti, fino al perdono non può non emergere la spinta soprannaturale alla fedeltà di ogni sacerdote che il carattere segna per sempre. “In Gesù, Persona e Missione tendono a coincidere: tutta la sua azione salvifica era ed è espressione del suo “Io filiale” che, da tutta l’eternità, sta davanti al Padre in atteggiamento di amorosa sottomissione alla sua volontà. Con umile ma vera analogia, anche il sacerdote deve anelare a questa identificazione. Non si tratta certo di dimenticare che l’efficacia sostanziale del ministero resta indipendente dalla santità del ministro; ma non si può neppure trascurare la straordinaria fruttuosità generata dall’incontro tra la santità oggettiva del ministero e quella soggettiva del ministro. Il Curato d’Ars iniziò subito quest’umile e paziente lavoro di armonizzazione tra la sua vita di ministro e la santità del ministero a lui affidato…” (Dalla lettera di indizione dell’Anno Sacerdotale, 16 giugno 2009).
Benedetto XVI, sempre nella Lettera, esortando i sacerdoti ad assimilarsi a Cristo nel suo “nuovo stile di vita” seguendo i tre consigli evangelici di povertà, castità, obbedienza, come la “via regolare della santificazione cristiana” da praticare secondo il proprio stato, fa questa constatazione: “Nel contesto della spiritualità alimentata dalla pratica dei consigli evangelici, mi è caro rivolgere ai sacerdoti, in quest’Anno a loro dedicato, un particolare invito a saper cogliere la nuova primavera che lo Spirito sta suscitando ai nostri giorni nella Chiesa, non per ultimo attraverso i Movimenti ecclesiali e le nuove Comunità. ‘Lo Spirito nei suoi doni è multiforme…Egli soffia dove vuole. Lo fa in modo inaspettato, in luoghi inaspettati e in forme prima non immaginate…ma ci dimostra anche che Egli opera in vista dell’unico Corpo e nell’unità dell’unico Corpo’ (Benedetto XVI, Omelia di Pentecoste, 3 giugno 2006). A questo proposito, vale l’indicazione del Decreto Presbyterorum ordinis: ‘Sapendo discernere quali spiriti abbiano origine da Dio (i presbiteri) devono scoprire con senso di fede i carismi, sia umili che eccelsi, che sotto molteplici forme sono concessi ai laici, devono ammetterli con gioia e fomentarli con diligenza ’ (N. 9). Tali doni che spingono non pochi a una vita spirituale più elevata, possono giovare non solo per i fedeli laici ma per gli stessi ministri. Dalla comunione tra ministri ordinati e carismi, infatti, può scaturire ‘un valido impulso per un rinnovato impegno della Chiesa nell’annuncio e nella testimonianza del Vangelo della speranza e della carità in ogni angolo del mondo ’. Vorrei inoltre aggiungere, sulla scorta dell’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis del Papa Giovanni Paolo II, che il ministero ordinato ha una radicale ‘forma comunitaria’ e può essere assolto solo nella comunione fra i sacerdoti e col proprio Vescovo, basata sul sacramento dell’Ordine e manifestata nella concelebrazione eucaristica, si traduca nelle diverse forme concrete di una fraternità sacerdotale effettiva ed effettiva (N. 74). Solo così i sacerdoti sapranno vivere in pienezza il dono del celibato e saranno capaci di far fiorire comunità cristiane nelle quali si ripetano i prodigi della prima predicazione del Vangelo”(Lettera). La forte unità che si è realizzata nella Chiesa dei primi secoli tra una fede amica dell’intelligenza e una prassi di vita caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti ha reso possibile la prima grande espansione missionaria del cristianesimo nel mondo ellenistico – romano. Così dopo il deserto provocato dalla secolarizzazione della rivoluzione borghese francese nella piccola parrocchia di Ars di 230 anime è avvenuto con la realizzazione del tipo tridentino di sacerdote, anticipatore profetico di quello del Vaticano II facendo il connubio tra l’”abitare” in Chiesa e “il fatto che il Santo Curato seppe “abitare” attivamente in tutto il territorio della sua parrocchia: visitava sistematicamente gli ammalati e le famiglie; organizzava missioni popolari e feste patronali; raccoglieva ed amministrava denaro per le opere caritative e missionarie; abbelliva la sua chiesa e la dotava di arredi sacri; si occupava delle orfanelle della “Provvidence” (un istituto da lui fondato) e delle loro educatrici; si interessava dell’istruzione dei bambini; fondava confraternite e chiamava i laici a collaborare con lui. Il suo esempio mi induce a evidenziare gli spazi di collaborazione che è doveroso estendere sempre più ai fedeli laici, coi quali i presbiteri formano l’unico popolo sacerdotale e in mezzo ai quali, in virtù del sacerdozio ministeriale, si trovano ‘ per condurre tutti all’unità della carità, ‘amandosi l’un l’altro con la carità fraterna, prevenendosi a vicenda nella deferenza ’ (Rm 12,10). E’ da ricordare, in questo contesto, il caloroso invito con il quale il Concilio Vaticano II incoraggia i presbiteri a “riconoscere e promuovere sinceramente la dignità dei laici, nonché il loro ruolo specifico nell’ambito della missione della Chiesa…Siano pronti ad ascoltare il parere dei laici, considerando con interesse fraterno le loro aspirazioni e giovandosi della loro esperienza e competenza nei diversi campi dell’attività umana, in modo da poter insieme riconoscere i segni dei tempi ’(Presbyterorum ordinis 9)”.
Sempre nella Lettera Benedetto XVI dicendo che tra i 408.024 sacerdoti nel mondo ci sono “splendide figure di generosi Pastori, di Religiosi ardenti di amore di Dio e per le anime, di Direttori spirituali illuminati e pazienti…gli insegnamenti e gli esempi di san Giovanni Maria Vianney possono offrire a tutti un significativo punto di riferimento …Ci sono, purtroppo, anche situazioni, ma abbastanza deplorate, in cui è la Chiesa stessa soffrire per l’infedeltà di alcuni suoi ministri. E’ il mondo a trarne motivo di scandalo e di rifiuto. Ciò che massimamente può giovare in tali casi alla Chiesa non è tanto la puntigliosa rilevazione delle debolezze dei suoi ministri, quanto una rinnovata e lieta coscienza della grandezza del dono di Dio”.
“Perfino – Omelia dei Vesperi del 19 giugno – le nostre carenze, i nostri limiti e debolezze devono ricondurci (alla fedeltà) del Cuore di Gesù. Se infatti è vero che i peccatori, contemplandoLo, devono apprendere da Lui il necessario “dolore dei peccati” che li riconduca al Padre, questo vale ancor più per i sacri ministri. Come dimenticare, in proposito, che nulla fa soffrire tanto la Chiesa, Corpo di Cristo, quanto i peccati dei suoi pastori, soprattutto di quelli che si tramutano in “ladri delle pecore” (Gv, 10,1ss), o perché le deviano con le loro private dottrine, o perché le stringono con lacci di peccato e di morte? Anche per noi, cari sacerdoti, vale il richiamo alla conversione e al ricorso alla Divina Misericordia, e ugualmente dobbiamo rivolgere con umiltà l’accorata e incessante domanda al Cuore di Gesù perché ci preservi dal terribile rischio di danneggiare coloro che siamo tenuti a salvare”.
Quando i confessionali non sono vuoti da una parte e dall’altra Egli, che agisce attraverso il sacerdote disponibile (il Curato fino a 16 ore al giorno), non si arrende dinnanzi all’ingratitudine e nemmeno davanti al rifiuto del popolo che si è scelto: attraverso i pochi per i molti e attraverso i molti per tutti; anzi con infinita misericordia, invia continuamente nel mondo l’unigenito suo Figlio moro e risorto attraverso la via umana della sua Chiesa, dei suoi preti in particolare perché prenda su di sé il destino dell’amore distrutto; perché sconfiggendo il potere del male e della morte, possa restituire dignità di figli agli esseri umani resi schiavi dal peccato.
Durante l’Anno sacerdotale è prevista la pubblicazione di un “Direttorio per i Confessori e Direttori spirituali” e di “una raccolta di testi del Sommo Pontefice sui temi essenziali della vita e della missione sacerdotale nell’epoca attuale”.
L’obiettivo di questo Anno è, secondo quanto ha affermato il Santo padre nell’udienza ai membri della Congregazione per il clero riuniti in Plenaria lo scorso marzo, “far percepire sempre più l’importanza del ruolo e della missione del sacerdote nella Chiesa e nella società contemporanea” (udienza del 16 marzo 2009).
Ma la Lettera di Benedetto XVI va letta, pregata, ruminata. Può essere utile avere alcuni cenni biografici di San Giovanni Maria Vianney che nasce a Dardilly, presso Lione, in Francia, nel 1786. Fin da piccolo si racconta di lui che amasse la solitudine e fosse particolarmente timorato di Dio. Sono anni difficili quelli di fine Settecento, peggio certamente degli attuali. La borghese rivoluzione francese non permette a nessuno di pregare Dio in pubblico: è il secolarismo originario radicale che poi si è diffuso. E così i genitori di Giovanni Maria lo portano ad ascoltare Messa in un granaio fuori città. La pena per i preti sorpresi a celebrare Messa è la ghigliottina. Nonostante il clima anticlericale, nonostante vi fossero pesanti minacce verso i sacerdoti, Giovanni Maria fa propria nel cuore la crescente volontà di dedicarsi interamente a Dio nel sacerdozio. Vuole, insomma, rispondere positivamente alla vocazione. A diciassette anni riesce a seguire gli studi, seppure con scarsi risultati. Le difficoltà divengono insormontabili quando si tratta di affrontare, in seminario, gli studi di filosofia e di teologia. Ma Giovanni Maria non demorde, accetta ogni umiliazione, e a Grenoble, nel 1815, a ventinove anni, viene finalmente ordinato sacerdote.
Diviene parroco di Ars per circa quarantadue anni e il suo ascendente è ancora vivo nella parrocchia che ha santificato con il suo apostolato. Là fa rifiorire mirabilmente con l’efficace predicazione, con la mortificazione, la preghiera, la carità. Numerose solo le anime che si rivolgono a lui, che trascorre ore e ore in confessionale. E’ ammirabile nella devozione a Maria con il titolo di concepita senza peccato, al Rosario, all’Eucaristia.
Estenuato dalle fatiche, macerato dai digiuni e dalle penitenze, come pure dalle infestazioni diaboliche, nel 1859 termina i suoi giorni nell’abbraccio del Signore.
Riviviamolo come ce lo fa rivivere la Lettera di Benedetto XVI.
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