La casa di Dio

Nella e attraverso la Chiesa Dio parla in continuità, “passeggia con noi”, illumina ogni coscienza

 

“Il Patriarca Germano di Costantinopoli (715 – 730) curava molto le celebrazioni liturgiche e, per un certo tempo, fu ritenuto anche l’instauratore della festa dell’Akitistos. Come è noto, l’Akatistos è un antico e famoso inno sorto in ambito bizantino e dedicato alla Theotokos, la Madre di Dio. Nonostante che dal punto di vista teologico non si possa qualificare Germano come un grande pensatore, alcune sue opere ebbero una certa risonanza per certe sue intuizioni sulla mariologia…Creano ancora adesso stupore alcuni testi mariologici di Germano che fanno parte delle omelie tenute in SS. Deiparae dormitionem, festività corrispondente alla nostra festa dell’Assunzione. Fra questi il Papa Pio XII ne prelevò uno che incastonò come una perla nella Costituzione apostolica Munificientissimus Deus (1950), con la quale dichiarò dogma di fede l’Assunzione di Maria. Questo testo il Papa Pio XII citò nella menzionata Costituzione presentandolo come uno degli argomenti in favore della fede permanente della Chiesa circa l’Assunzione corporale di Maria in cielo. Germano scrive: “ Poteva amai succedere, santissima Madre di Dio, che il cielo e la terra si sentissero onorati della tua presenza, e tu, con la tua partenza, lasciassi gli uomini privi della tua protezione? No. È Impossibile pensare queste cose. Infatti come quando eri nel mondo non ti sentivi estranea alle realtà del cielo, così anche dopo che sei emigrata da questo mondo non ti sei affatto estraniata dalla possibilità di comunicare in spirito con gli uomini…infatti il tuo spirito vive in eterno né la tua carne subì la corruzione del sepolcro. Tu, o Madre, sei vicina a tutti e tutti proteggi e, benché i nostri occhi siano impediti dal vederti, tuttavia sappiamo, o Santissima, che tu abiti in mezzo a tutti noi e ti rendi presente nei modi più diversi…Tu (Maria) ti riveli tutta, come sta scritto, nella tua bellezza. Il tuo corpo verginale è totalmente santo, tutto casto, tutto casa di Dio così che, anche per questo, è assolutamente refrattario ad ogni riduzione in polvere. Esso è immutabile, dal momento che ciò in esso era umano è stato assunto nella incorruttibilità, restando vivo e assolutamente glorioso, incolume e partecipe della vita perfetta. Infatti era impossibile che fosse tenuta chiusa nel sepolcro dei morti colei che era divenuta vaso di Dio e tempio vivo della santissima divinità dell’Unigenito. D’altra parte noi crediamo con certezza che tu continui a camminare con noi” ( PG 98) (Benedetto XVI, Udienza Generale, 29 maggio 2009).

 

E’ stato detto che per i Bizantini il decoro della forma retorica della predicazione, e ancora di più negli inni e nelle composizioni poetiche che essi chiamano tropari, è altrettanto importante nella celebrazione liturgica quanto la bellezza dell’edificio sacro nel quale essa si svolge. Il Patriarca Germano è stato riconosciuto, in quella tradizione, come uno di coloro che hanno contribuito molto nel tener viva questa convinzione, cioè che bellezza della parola, del linguaggio e bellezza dell’edificio e della musica devono coincidere.

Ecco le parole ispirate con cui Germano qualifica la Chiesa: “La Chiesa è tempio di Dio, spazio sacro, casa di preghiera, convocazione di popolo, corpo di Cristo…E’ il cielo sulla terra, dove Dio trascendente abita come a casa sua e vi passeggia, ma è anche impronta realizzata (antitypos) della crocifissione, della tomba e della risurrezione…La Chiesa è la casa di Dio in cui si celebra il sacrificio mistico vivificante, nello stesso tempo parte più intima del santuario e grotta santa.. Dentro di essa si trovano infatti il sepolcro e la mensa, nutrimenti per l’anima e garanzie di vita. In essa infine si trovano quelle vere e proprie perle preziose che sono i dogmi divini dell’insegnamento offerto direttamente dal Signore ai suoi discepoli” (PG 98).

Benedetto XVI si è chiesto che cosa vuol dirci questo Santo, cronologicamente e anche culturalmente abbastanza distante da noi? Tre cose:

-          La prima: c’è una certa visibilità di Dio nel mondo, nella Chiesa, che dobbiamo imparare a percepire. Dio ha creato e crea ogni uomo, nel proprio e altrui essere dono del Donatore divino cioè nella sua verità, a sua immagine, ma questa immagine è stata coperta dalla tanta sporcizia del peccato, in conseguenza della quale quasi Dio non traspariva più. Così l’unico Dio, Padre, Figlio, Spirito Santo si è dato definitivamente a noi nell’incarnazione del Figlio, fatto vero uomo, perfetta immagine di Dio: in Cristo possiamo così contemplare sia il volto di Dio Padre, Dio Figlio che possiede un volto umano, che ci ha amati, ogni singolo e l’umanità nel suo insieme fino alla fine e sia chi è ogni uomo nel proprio e altrui essere suo dono, vera immagine di Dio. Cristo, senza costringerci perché un rapporto costretto non è un rapporto di amore, ci invita a lasciarci assimilare a Lui, a imitarLo, così che in ogni uomo traspaia di nuovo il volto di Dio, l’immagine cioè l’incarnazione o via umana a Dio che continui. Per la verità, Dio aveva vietato nel Decalogo di fare delle immagini di Dio, ma questo era motivo delle tentazioni di idolatria o costruzione di un qualsiasi dio a cui il credente poteva essere esposto in un contesto di paganesimo. Quando però quel Dio che possiede un volto umano si è fatto visibile in Cristo mediante l’incarnazione per opera dello Spirito Santo, è diventato legittimo riprodurre il volto di Cristo. Dopo l’incarnazione del Figlio di Dio, è diventato quindi possibile vedere Dio nelle immagini di Cristo ed anche nel volto dei Santi, anzi nel volto di ogni uomo in cui risplende la santità, l’amore di Dio.

-          La seconda cosa è la bellezza e la dignità della liturgia, fonte e culmine di tutta la vita e l’attività della Chiesa. Celebrare la fede professata per essere vissuta e pregata cioè la liturgia nella consapevolezza della presenza di Dio, della incarnazione, passione, morte e risurrezione che continua, con dignità e bellezza che ne faccia non solo sapere ma pensare e quindi vedere un poco lo splendore, è l’impegno di ogni cristiano alla cui origine e testimonianza c’è l’incontro con la Persona di Gesù Cristo e quindi la fede che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva.

-          La terza cosa è amare la Chiesa. Proprio a proposito della Chiesa, noi uomini siamo portati a vedere soprattutto i peccati, il negativo; ma con l’aiuto della fede professata, celebrata, vissuta e pregata, che ci rende capaci di vedere in modo autentico, possiamo anche oggi e sempre, riscoprire in essa la continua bellezza divina. E’ nella Chiesa e attraverso la Chiesa che Dio in continuità parla con noi, nella Chiesa “Dio passeggia con noi”, come dice San Germano. Nella Chiesa e attraverso la Chiesa riceviamo il perdono di Dio e impariamo a perdonare. “Preghiamo Dio – ha concluso Benedetto XVI – perché ci insegni a vedere nella Chiesa la sua presenza, la sua bellezza, a vedere la sua presenza nel mondo, e ci aiuti ad essere anche noi trasparenti della sua luce” e quindi con una coscienza vera e certa.

 

Oggi noi, proprio nella crisi attuale della Chiesa, stiamo esperimentando in modo nuovo la forza, la certezza della memoria cristiana per ogni coscienza e la verità della parola apostolica

 Più delle direttive della gerarchia – queste riflessioni le ho tratte da L’elogio della Coscienza – La Verità interroga il cuore di Joseph Ratzinger Benedetto XVI pp. 27-32 - è la capacità della fede semplice di chi in vissuti fraterni di comunione porta al discernimento degli spiriti. Solo in tale contesto si può comprendere correttamente e accogliere liberamente, per amore il primato del Papa e la sua correlazione con la coscienza di ogni cristiano. Il significato autentico dell’autorità e autorevolezza del Papa consiste nel fatto che egli è garante della memoria e della certezza cristiana. Il Papa non impone dall’esterno, ma sviluppa quella memoria cristiana che è all’origine di ogni io umano e la difende salvaguardando le verità elementari. Per questo il brindisi per la coscienza deve precedere quello per il Papa, perché senza coscienza non ci sarebbe nessun papato. Tutto il potere che egli ha è potere della coscienza: servizio al duplice ricordo, sui cui si basa la fede e che deve essere continuamente purificata, ampliata e difesa contro le forme di distruzione della memoria, la quale è minacciata tanto da una soggettività dimentica del proprio fondamento, quanto dalla pressioni di un conformismo sociale e culturale, dalla pressione degli interessi, dei piaceri e dall’attrattiva dell’utilità, oscurandola e costringendola a riconoscerli come criteri ultimi. Dopo queste considerazioni sul piano essenzialmente ontologico del concetto di coscienza ci sono quelle soggettive del livello del giudicare e del decidere che non derivano solo dal conoscere e dal ragionare. Se una cosa è riconosciuta moralmente  o non riconosciuta dipende sempre anche dalla volontà che sbarra la strada al riconoscimento oppure  vi conduce. Nel giudicare (quello della coscienza in senso stretto) vale il principio che anche la coscienza erronea obbliga. Nessuno può agire contro le sue convinzioni dice san Paolo (Rm 14,23). Tuttavia il fatto che la convinzione acquisita sia ovviamente obbligatoria nel momento in cui si agisce, non significa nessuna canonizzazione della soggettività. Non è mai una colpa seguire le convinzioni che ci si è formati, anzi uno deve seguirle. Ma non di meno può essere una colpa che uno sia arrivato a formarsi convinzioni tanto sbagliate e che abbia calpestato la repulsione verso di esse, repulsione che avverte la memoria del suo essere, del suo io originario, delle verità primarie. La colpa si trova quindi altrove, più in profondità: non nell’atto del momento, non nel presente giudizio della coscienza, ma in quella trascuratezza verso il mio stesso essere, che mi ha reso sordo alla voce della verità e ai suoi suggerimenti interiori. Per questo motivo, anche i criminali che agiscono con convinzione rimangono colpevoli. Occorre risvegliarci e prendere sul serio la gravità della supplica: “liberami dalle colpe che non vedo” (Salmo 19,13). Ora questa è proprio la novità specifica dell’appartenenza ecclesiale in vissuti fraterni di comunione autorevolmente guidata: l’incontro ecclesiale con il Logos, la Verità in persona e nello stesso tempo anche la riconciliazione, il perdono che trasforma tutte le nostre capacità e incapacità personali, ci libera dalla  nostra solitudine. In ciò consiste la vera novità, su cui si fonda la più grande memoria cristiana custodita dal ministero di Pietro, che non impone, costringe dall’esterno perché è nello stesso tempo la risposta più profonda alla memoria del Creatore presente originariamente in ogni io. Laddove questo connubio fra esterno e interno, fra verità e libertà, centro del messaggio cristiano, non viene sufficientemente proclamato o recepito, là la verità, l’autorità del Papa e di chi la esercita in comunione con lui, si trasforma di fatto in un giogo, che risulta troppo pesante per le nostre spalle e conseguentemente si cerca di liberasene. Essa porta nella terra desolata del nulla e così si distrugge da sola. Ma il giogo della verità diviene “leggero” (Mt 11,30), quando la Verità cioè Dio che possiede un volto umano e ci parla, passeggia nella Chiesa, è venuto, ci ha amato singolarmente e l’umanità nel suo insieme e ha bruciato e brucia continuamente le nostre colpe nel suo amore più grande di ogni peccato. Solo quando noi, fraternamente insieme, conosciamo ed esperimentiamo interiormente  tutto ciò, diventiamo liberi di ascoltare, anzi di far ascoltare a tutti con gioia e senza ansia il messaggio della coscienza.

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